Riceviamo e pubblichiamo una testimonianza di un paziente in un nosocomio pubblico molisano: “L’ospedale e le nostre paure”

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO UNA TESTIMONIANZA (POSITIVA) DI UN PAZIENTE IN UN OSPEDALE PUBBLICO

Una notte d’estate, un dolore allo stomaco che comincia a montare e non si ferma fino a diventare una vera e propria colica insopportabile, l’intervento del 118, la corsa al pronto soccorso e la terapia antidolorifica.

Poi, una ecografia conferma una cistifellea in pessime condizioni, anche se non calcolosa, e suggerisce il ricovero.

“Oh madonna”, i pensieri si sovrappongono, “chissà che mi aspetta in una corsia di ospedale”  su cui ho sentito e sento tante critiche.

 Dieci  giorni di ricovero in chirurgia.

Cinque per trattare con antibiotici una cistifellea messa male, il sesto per l’intervento chirurgico, il resto per convalescenza fino alle dimissioni e medicazioni successive.

Dieci  giorni vissuti da “ paziente “ a letto. Uno stato che ti pone nella inevitabile condizione di doverti affidare agli altri confidando nella loro sensibilità oltre che professionalità.

Qui emerge un mondo completamente diverso da quanto descritto dalla gente.

 La gente, quella moltitudine di individui pronta a giudicare in ogni modo e sempre riferendosi ad altri. Come se l’individuo che disserta di disservizi e dispensa critiche o elogi  ad ogni piè sospinto non appartenesse alla gente, non fosse uno dei protagonisti, con i propri comportamenti, del degrado o della esaltazione di una società, di un ambiente.

Noi, esseri umani, siamo prima di tutto il soggetto che osserva ciò che ci circonda, siamo gli autori, collettivamente, della fotografia della realtà.

Siamo nodi di una rete di scambi nella quale ci passiamo immagini, strumenti, informazioni, e conoscenza.

Ma del mondo che vediamo e commentiamo, spesso aspramente, siamo anche parte integrante, non siamo osservatori esterni immuni da responsabilità. Siamo situati in esso. La nostra prospettiva su di esso è dall’interno.

E qui, la verità, la testimonianza, vista da una condizione di assoluta debolezza quale quella del malato messo in un letto.

Professionalità e sensibilità dei medici, dal più giovane al più esperto, manifestamente tangibile alla visita quotidiana di ogni paziente.

Professionalità e sensibilità di tutto il personale infermieristico, peraltro meravigliosamente giovane, verso tutte le persone ricoverate. Attenzione e risposta alle chiamate in linea con gli incredibili impegni di giornata.

Quaranta  persone ricoverate, di cui in media tre uscite da sala operatoria ogni giorno, per, credo, un paio di persone operative in turno.

Troppi familiari ad assistere il proprio congiunto pronti a chiamare in preda a condivisibile emotività che però rappresenta una aggiunta al lavoro degli addetti.

Le pulizie fatte ogni mattina (lavare per terra e spolverare).

Il cambio delle lenzuola fatto ogni mattina. Con professionalità, dedicando il tempo suo e avendo cura di chi è meno autonomo.

Le pulizie degli infermi, dai bisogni al cambio intimo, “nonno girati un po’ di qua piano piano,  ti aiutiamo noi”  frasi ascoltate e azioni messe in pratica.

Dulcis in fundo; gli splendidi ragazzi della scuola infermieristica che fanno pratica mettendo flebo, misurando pressioni, rilevando temperatura corporea e glicemia.

Cose normali, ma che non ti aspetti così in base al sentito dire.

Certo, c’è anche “la gente”.

Quella che viene in visita ai malati o che assiste il congiunto.

–       Un uomo  scambia il corridoio del reparto per il parco giochi e gioca con il bimbo di un paio di anni rumoreggiando e fotografando.

–       Un gruppo  passeggia nel corridoio chiacchierando con forza di frivolezze senza curarsi che il corridoio rimbomba i suoni.

“La gente”.  Che telefona indiscriminatamente pensando di essere in piena stazione centrale.   Magari sono gli stessi che credono di essere pienamente entro i limiti di un comportamento etico e dispensano critiche.

Questo è il micromondo che ho osservato da un letto per 10 giorni.

Certamente vi sono margini di miglioramento sia all’interno del reparto che nelle relazioni interne con gli altri reparti.

Un processo cliente/fornitore  interno ben applicato e funzionante porterebbe le unità operative verso punti di eccellenza.  Ciò porterebbe l’ospedale ad una notorietà che avvicinerebbe clienti dalle regioni limitrofe, il che avrebbe il doppio vantaggio di ampliare il bacino di utenza andando incontro agli standard richiesti e portando guadagni in regione.

Ma, al di là di questa scontata considerazione, quanto ho visto  mi spinge a dire pubblicamente :

Per fortuna che questa colica è arrivata nella città in cui vivo;

–       grazie al Pronto Soccorso (dott. Rocchia)

–       grazie al dott. Fabrizio (Direttore del Reparto di chirurgia)  ed a tutti i suoi collaboratori in egual misura.

Francesco Cristaldi

 

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