A Palazzo San Giorgio il racconto del lungo cammino di due migranti, Najib e Mamadì, arrivati a Campobasso dopo migliaia di chilometri a piedi: “Una vita normale è un diritto per tutti”

La ‘Giornata del Camminare’ è terminata a Palazzo San Giorgio con il racconto di due ragazzi del Progetto Sprar

GIUSEPPE FORMATO

La pioggia e il freddo della prima vera domenica autunnale non ha scoraggiato tante persone che hanno preso parte alla ‘Giornata Nazionale del Camminare’, evento organizzato dalla Federtreck e che in Molise ha visto il lavoro, in sinergia, tra tre amministrazioni comunali: Campobasso, Ripalimosani e Ferrazzano.

Una piacevole mattinata alla riscoperta degli antichi percorsi tratturali, percorsi parallelamente e riscoprendone la storia, e di zone del capoluogo molisano e dei suoi dintorni, troppo spesso, dimenticate.

Un percorso ha visto la partenza dalla Località Quercigliole in agro di Ripalimosani, alla riscoperta della Chiesa del Calvario (prima tappa), della Torre di Delicata Civerra e della Chiesa di San Bartolomeo (seconda tappa) con protagonisti il gruppi dei ‘Crociati e Trinitari’, visitando successivamente gran parte del borgo antico di Campobasso.

Un altro tragitto ha visto il gruppo dei partecipanti percorrere in egual maniera quasi dieci chilometri, partendo da Ferrazzano per scendere al Convento della Chiesa di San Giovanni Battista al Cimitero di San Giovanni, con una visita al chiostro e alla biblioteca, prima di unirsi con l’altro gruppo in Piazza Municipio prima e a Palazzo San Giorgio successivamente.

Nella Sala consiliare il momento più emozionante della domenica mattina: due giovani profughi da territori martoriati da guerre e condizioni di vita al limite della sopportabilità hanno raccontato la loro fuga, “i milioni di passi fatti per raggiungere la salvezza e una vita normale”, come ci ha tenuto a precisare l’assessore alle Politiche Sociali, Alessandra Salvatore, che ha preso parte attiva alla camminata insieme con il vice-sindaco Bibiana Chierchia e il consigliere comunale D’Elia. Nei momenti iniziali e finali dell’iniziativa ha preso parte anche il sindaco Antonio Battista. Hanno preso parte alla manifestazione anche i sindaci di Ripalimosani e Ferrazzano, rispettivamente, Di Bartolomeo e Cerio.

“È stato un momento molto emozionante – ha spiegato l’assessore Alessandra Salvatore – quello che ha chiuso la mattinata, perché la storia dei due ragazzi ci ha dato modo di riflettere su come si diano per scontate certe libertà, compresa quella di passeggiare e godersi la natura. Quella libertà che alcuni popoli ancora nel 2015 non possono godersi, a causa degli orrori della guerra”.

L’assessore Alessandra Salvatore, in chiusura di giornata, ha ringraziato le associazioni che hanno preso parte attivamente all’organizzazione dell’iniziativa, rivolgendo il pensiero ai volontari di Medici Senza Frontiere, uccisi dal fuoco amico in Afghanistan. Tra le altre cose, l’intera manifestazione ha promosso l’iniziativa di Medici senza Frontiere: #milionidipassi.

Najib e Mamadì, che a Campobasso hanno trovato un minimo di pace e serenità, hanno avuto il coraggio di raccontare la propria storia, che ha fatto riflettere coloro che hanno chiuso la giornata nella Sala consiliare di Palazzo San Giorgio. Non è mancata la commozione nelle parole dei due ragazzi, ma anche dei presenti.

“Ho venti anni e arrivo dall’Afghanistan, territorio che ho lasciato a 16 anni. Lì ci sono ancora i miei familiari. Per arrivare in Italia ho impiegato ben quattro anni – ha raccontato Najib –. Nel mio Paese è tutto difficile: andare a scuola, lavorare, passare il tempo con gli amici. È impossibile vivere una vita normale e sicura. Per questi motivi, si scappa e si lasciano gli affetti più cari, e io ho deciso di provare a vivere una vita normale, serena e felice, che dovrebbe essere un diritto per tutti. La mia famiglia era spaventata per il viaggio lungo e pericoloso, ma voleva proteggermi dai pericoli della guerra. Hanno venduto tutto il possibile per potermi aiutare a scappare. Avevo solo 16 anni e sono partito da solo. Per arrivare in Iran ho impiegato due mesi, tra cammino e un viaggio in automobile pagato molti soldi. Siamo stati in duecento ad affidarci a un trafficante, che ci ha permesso di attraversare il confine tra Afghanistan e Iran, dove abbiamo trascorso una settimana in una casa abbandonata in un bosco, dove faceva molto freddo. Il confine per la Turchia, infatti, era chiuso per il ghiaccio. In molti sono morti per il freddo e per la mancanza di cibo e acqua. Quando siamo riusciti ad attraversare il confine turco, la Polizia ci ha sparato addosso. Alcuni sono morti, altri sono stati fermati. Soltanto in cinquanta siamo riusciti ad arrivare in Turchia, dove siamo rimasti due mesi. Faceva troppo freddo per intraprendere un nuovo cammino a piedi. Alla ripresa del giorno viaggio abbiamo impiegato dieci ore di cammino e tre di macchina per provare ad arrivare in Grecia. Un trafficante ci ha dato alcune piccole barche, alcune delle quali affondate appena arrivati in mare aperto. Anche qui morte. In tanti non sapevano nuotare e sono annegati. Io sono stato protetto da Dio, perché io ero uno di coloro che non sapeva nuotare. Sono rimasto due anni in Grecia, dove ho lavorato ma dovevo sempre nascondermi dalla Polizia e dai gruppi fascisti e xenofobi di Alba Dorata, i quali un giorno sono venuti a casa a minacciarmi. Messi un po’ di soldi da parte, ho ripreso il cammino verso l’Italia. Da Creta sono arrivato ad Atene, poi in treno fino a Salonicco. Da qui ho impiegato due settimane di cammino per raggiungere la Macedonia e la Serbia, dove siamo stati arrestati, trascorrendo due mesi in carcere. Ho proseguito, quindi, a piedi fino in Ungheria, poi in treno fino all’Austria e ancora un convoglio ferroviario mi ha condotto a Campobasso. Vivo al Feudo da quasi un anno – ha concluso Najib – e mi sento al sicuro. Credo che qui possa vivere una vita normale, perché ci sono persone buone che ci rispettano. Vorrei trascorrere la mia vita qui. Ho iniziato un corso da pizzaiolo e vorrei restituire tutto il bene che sto ricevendo”.

“È l’occasione questa – sono state le parole di Mamadì, proveniente dal Gambia di fare un confronto tra l’esperienza del camminare vissuta da un cittadino europeo e quella che siamo costretti a vivere noi migranti. In Italia, camminare è un’opportunità per conoscere il territorio e diffondere valori sani ed equilibrati. Io, invece, sono stato costretto a camminare, non per piacere, ma per salvare la mia vita. Non è stato bello camminare sotto il sole africano, né vedere persone morire per il caldo, stremate dalla fatica. Ho attraversato a piedi il deserto tra i Niger e la Libia, prima di imbarcarmi per l’Italia. Ho camminato per sei lunghissimi giorni senza acqua né cibo. Non tutti sono sopravvissuti. Essere migrante non è un crimine, vorremmo essere trattati con rispetto e dignità. L’Africa, così come l’Asia, è un continente ricco di risorse e capitale, ma la ricchezza è male distribuita e amministrata. Isis, Boko Haram e Al Quaeda portano solo povertà e violenza nelle nostre terre. Non sono musulmani ma criminali. L’Islam è una religione di pace e non ammette l’uccisione di persone innocenti, donne e bambini. La Comunità internazionale dovrebbe fare qualcosa per isolare queste organizzazioni e promuovere la pace, la giustizia, l’uguaglianza, la libertà. Lo slogan di questa manifestazione è ‘Camminare in città… liberi di camminare’, ma pensiamo anche a tutte le persone che non sono libere e sono costrette a fuggire”.

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