Cronache marziane / La lunga strada che conduce alla libertà

CRISTINA SALVATORE

Quanto è bello il tramonto sul mare. È il momento in cui il sole assume il colore che più si avvicina a quello rosso del cuore. Piano, piano, si annullano le distanze e cielo e acqua si fondono in un abbraccio abbagliante, accompagnati dalla luce che sfrigola riflessa in lontananza, quando il sole si prepara a dormire cullato da onde delicate, impercettibili. L’orizzonte assomiglia ad un bacio tra elementi essenziali, gli occhi si colmano di una bellezza rassicurante e il cuore trova la giusta dimora nella pace dei sensi.

Così è l’amore. Essere qualcosa di definito pur uscendo dai bordi; di unico da solo, ma speciale nell’insieme. È fiducia, rispetto. È il coraggio di lasciare andare chi ha deciso di cambiare.

Lo ripetevo tra me e me mentre mi accingevo a tornare a casa, indecisa se percorrere la solita via o continuare dritta, fino alla caserma. Ma poi che faccio? Cosa dico? E stanotte? Dove dormiamo?

Da quando sono incinta non riesco a pensare ad altro. La creatura che ho in grembo merita una famiglia e, allo stesso tempo, avverto l’esigenza di proteggerla dal mondo. Da lui.

Le mie mani sono piene di lividi, i miei occhi gonfi di pianto e, forse, di botte. Non lo so, non lo ricordo neanche più. Non so se l’altro giorno, per ripararmi la pancia, ho preso anche qualche calcio in faccia. Sulle mani ne sono sicura, perché ho cercato di non far sentire alla mia bambina nient’altro che la forza incondizionata del mio abbraccio. Lei non doveva ricevere i suoi pugni addosso. Mai. Non deve avere la paura che un palmo aperto di slancio verso il viso possa non esser carezza, ma schiaffo.

Cammino sempre più veloce, ho lo sguardo fisso in terra per il timore d’ incrociare quello dei passanti. Ho paura che qualcuno possa accorgersi di questi miei occhi lividi seppur nascosti dall’ abbondante trucco che mai ho osato. Neanche da ragazzina in discoteca.
Ecco, mi è appena passata accanto una coppia di adolescenti innamorati, mano nella mano. Io osservo sempre le mani degli uomini, per vedere quanto possano essere grandi o delicate o segnate dalla fatica; per capire se quelle mani abbiano conservato la gentilezza di un sussurro all’orecchio o la bestialità di un pestaggio inatteso. Fugacemente, rubo con la coda dell’occhio gli attimi di quella ragazzina che mi sfiora inconsapevole. E non riesco a non pensare a mia figlia tra qualche anno. Sarà bella e piena di fiducia come lei? Troverà l’amore, quello vero, o sarà costretta a scappare da sé stessa per la vergogna, per una paura non contemplata in tempi in cui un destino innocente le ha fornito battiti e respiri?

Continuo a camminare veloce, velocissima. Corro, corro con il cuore in gola quando, ad un tratto, mi accorgo di essere arrivata all’incrocio che porta a casa mia. Ma cosa è “casa”? Casa è dove ti senti al sicuro, dove ti senti protetta. Dove chiudi i problemi fuori dalla porta, svuoti la mente e riempi il cuore. Non è il luogo in cui lasci vestiti, bollette da pagare, lacrime e solchi di unghie sul parquet. In un attimo, lo stesso che resta al sole di sera, prima che giunga la notte, l’ultimo raggio si insinua tra le ciglia. Il tramonto è giunto alla fine e la luna si fa spazio tra le stelle.

Ora lo so. So cosa fare. Per la prima volta tutto mi è chiaro e non sono gli occhi a guidarmi ma un cuore che pulsa accelerato dalla spasmodica fretta di porre fine ad un amore malato.
Dritta. Vado dritta. Vado dritta verso la caserma, verso la speranza, verso il cambiamento, verso il riscatto, verso la vita. Verso quello che devo a me stessa e a mia figlia, pensando di volere e dovere cambiare non solo la sua vita ma anche la mia e quella di tante donne come noi. Lo faccio per me e per la mia bimba; per la ragazza che passeggiava mano nella mano con il suo compagno, perché se lei oggi si fida dell’amore è, e deve essere, anche grazie alle donne come me, che hanno ritrovato la voglia di lottare nel nome di un sentimento rosso come il tramonto. Come il sole che si avvicina al mare, in silenzio, delicato, piano, piano. Che si fonde in un abbraccio che accarezza e desta ammirazione. Che illumina e indica la strada verso le cose belle. Che segna il nostro tempo, senza lasciare lividi. Lo faccio per dare un senso alla parola “amore”.

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