L’editoriale / La vittoria di Gravina è il riscatto del popolo. Il centrodestra paga le scellerate scelte delle stanze del potere: dall’accordo di Arcore alle decisioni assunte a Palazzo Vitale da chi non è di Campobasso

GIUSEPPE FORMATO

La vittoria del Movimento 5 Stelle e la sconfitta del centrodestra hanno un solo comune denominatore: il popolo. I cittadini sono stanchi delle logiche politiche e i campobassani lo hanno dimostrato, con forza, domenica 9 giugno 2019, quando gli elettori del capoluogo molisano hanno conferito la fiducia, a stragrande maggioranza, al pentastellato Roberto Gravina.

La differenza tra Gravina e D’Alessandro? La scelta, nella fase della candidatura, dettata dal popolo. Coloro che si sono recati alle urne, infatti, hanno scelto Roberto Gravina, la cui candidatura fu decisa dalla base operativa del Movimento 5 Stelle, dagli attivisti e dai simpatizzanti nel corso delle riunioni tenutesi sul territorio cittadino.

Il centrodestra, invece, ha fatto solo tanta confusione. Basti pensare ai tavoli delle liste civiche, che avevano stabilito la propria rosa di nomi, dai quali scegliere il candidato sindaco. Il leader della coalizione di centrodestra avrebbe dovuto essere uno tra Corrado Di Niro e Francesco Pilone, voluti da chi, in quel momento, rappresentava i cittadini ai tavoli. I tavoli civici, invece, sono stati una farsa, una presa per i fondelli per gli stessi cittadini e per coloro che vi hanno partecipato con entusiasmo e con la convinzione di essere parte attiva e integrante di un progetto. Anche altri nomi erano stati messi sul tavolo: da Stefano Maggiani ad Aldo De Benedittis, passando per Rossella Gianfagna, i quali pur avevano riscosso le simpatie del popolo di centrodestra.

All’indomani della scelta dei civici, ecco il colpo di teatro. Inizia a circolare di uno pseudo accordo di Arcore, sottoscritto da Salvini (Lega), Berlusconi (Forza Italia) e Meloni (Fratelli d’Italia), con Mazzuto a fare da mazziere su Campobasso con gli azzurri Toma e Tartaglione ad assecondare, senza batter ciglio, tutte le scelte del coordinatore regionale della Lega. E, così, un nome messo sul tavolo dallo stesso Mazzuto, al quale, per logiche ancora oscure, tutti hanno dovuto dare l’assenso. Tre leader politici che conoscono il Molise solo perché presente sulla cartina geografica decidono le sorti di Campobasso. Il nome calato da un isernino, che evidentemente conosce ben poco le dinamiche della città capoluogo. Una scelta decisa nelle segrete stanze, laddove il governatore Toma ha fatto introdurre l’ingresso con le impronte digitali. E la sconfitta è stata servita su un piatto d’argento.

A Maria Domenica D’Alessandro le resta la solitudine a cui, a un certo punto, è stata abbandonata. Lasciata sola, così come ha ben rappresentato il comizio finale: sul palco in solitudine, a differenza di quanto avvenuto a Termoli con Roberti. Nessuno ha voluto mettere la faccia su una sconfitta annunciata e certificata da un risultato, che non lascia spazio a commenti.

Ha vinto il popolo ed è un bene, perché finalmente quest’ultimo è tornato a essere sovrano e la classe politica è stata notevolmente ridimensionata. A vantaggio dei cittadini, tornati protagonisti delle scelte. 

A essere danneggiati, dalle decisioni assunte nelle segrete stanze, tutti quei candidati del centrodestra, che hanno fatto incetta di voti, costretti a restare a casa o accontentarsi della minoranza. Giochi della democrazia, conseguenza dell’esclusione dei cittadini dalle scelte politiche.

Il neo-sindaco Gravina, intanto, porterà con sé all’interno del Consiglio comunale una ventata di aria nuova. Dei ventuno esponenti della nuova maggioranza, infatti, ben 17 sono novizi dell’amministrazione della cosa pubblica. A questi, si aggiungono le new-entry del centrodestra: la candidata sindaco sconfitta Maria Domenica D’Alessandro, Mario Annuario di Fratelli d’Italia e Mimmo Esposito di Forza Italia per un totale di venti volti nuovi (su trentadue consiglieri) a Palazzo San Giorgio.

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