Una pagina di storia da riscoprire / In Molise le prime tracce della Rivoluzione francese: Campobasso e Isernia furono riscattate dai cittadini demanisti. Fondamentale il ruolo della famiglia Iosa

Campobasso nel 1742, quando fu riscattata al demanio

In Molise le prime tracce della rivoluzione francese. Prima Campobasso e poi Isernia vennero riscattate dai cittadini demanisti, lasciando alla storia due esempi di grande coesione sociale dopo la città di Matera, liberata secoli prima più volte dal popolo dal dominio feudale.

Il caso più noto è quello di Campobasso, tornata al demanio dopo la morte senza eredi, nel 1727, di Mario Carafa.

Quest’ultimo aveva lasciato come discendenti testamentari il nipote Alessandro Milano e il cugino Marcello Carafa, già duca di Jelsi.

Nonostante ciò, con decreto dell’ 8 luglio 1730 la Regia Camera devolveva i beni alla Regia Corte, ponendoli sotto sequestro per effettuare l’apprezzo, commissionato con decreto del 27 novembre 1730 al tavolario Giuseppe Stendardo.

Marcello Carafa presentò allora istanza alla Regia Camera per rendere effettive le volontà del cugino e acquisire la titolarità del feudo. Egli riuscì ad ottenere il feudo con regio assenso del 24 marzo 1735, mediante il pagamento di 10.000 ducati al fisco e con l’obbligo di pagare i creditori.

In città, però, si era andata meglio ad articolare la composizione sociale della popolazione e, in particolare, le attività economiche legate perlopiù alla transumanza avevano favorito l’accumulo di capitali da parte di alcuni gruppi familiari intenzionati a stimolatore e favorire il riscatto in demanio.

Dal 1738, attorno all’avvocato Anselmo Chiarizia si riunirono circa 140 cittadini, i cosiddetti “demanisti”, intenzionati a comprare la città e ai quali si contrapponevano i “comunisti”, capeggiati dal Carafa stesso.

L’avvocato, raccolte le firme, presentò alla Regia Camera la relativa istanza di ricompra della città. Dopo aver depositato le somme utili all’acquisto del feudo, secondo la stima dello Stendardo, il 4 marzo 1742 i demanisti assunsero la titolarità del feudo, intestandolo simbolicamente a Salvatore Romano, un onesto popolano alla cui famiglia appartenne il feudo di Campobasso fino alle leggi eversive della feudalità.

Risale a questo periodo storico Palazzo Cannavina, edificato tra il XVII e il XVIII secolo, il “salotto buono” della città. Ubicato sulla ex via del Borgo (poi ha preso il nome di via Cannavina) affaccia su due splendide piazze del centro storico: Largo San Leonardo e Fondaco della Farina dove si svolgevano le vicende dei Crociati e dei Trinitari che hanno alimentato la credenza che proprio il palazzo gentilizio fosse stato teatro dell’amore impossibile tra Fonzo Mastrangelo e Delicata Civerra. I primi proprietari sono stati i Carafa, feudatari della città di Campobasso e duchi di Jelsi. Dal 1742 sino al 1783 fu di proprietà del Regio Demanio, ma poi fu acquistato da don Michelangelo Salottolo e, solo in seguito, dalla famiglia Cannavina, da cui deriva la denominazione dell’edificio.

Il riscatto in demanio di Campobasso non fu, comunque, l’unico caso del Molise.

Ci fu anche il riscatto della città di Isernia da parte dei suoi cittadini demanisti. Cesare Michelangelo D’Avalos, succeduto al padre Diego, infatti, nel 1698, provò a vendere il feudo, con patto di retrovendita, per la somma di 20.000 ducati, a Giulio Di Costanzo, principe di Colledanghise, signore di Bojano e reggente del Collaterale.

I poteri cittadini allora avanzarono la pretesa di esercitare il diritto di prelazione. Iniziò, così, un gioco al rialzo che permise al principe di Colledanghise di acquistare il feudo di Isernia per 62.000 ducati avviando, però, dall’altro lato, uno scontro sempre più acceso tra il barone e i poteri locali, che si concluse con il ritorno del feudo ai D’Avalos.

I molti debiti che gravavano sul feudo, contratti dai D’Avalos e dai Di Costanzo, causarono, nel 1733, la confisca dei beni al Regio Fisco e dunque il relativo apprezzo, che fu eseguito nel 1744 da Casimiro Vetromile.

In questo modo, si potè stabilire una volta per tutte  il valore del feudo di Isernia per poter procedere alla vendita. Così come avvenne per Campobasso la popolazione si riunì attorno a un notabile della città, Giuseppe Iadopi, riuscendo a raccogliere la somma sufficiente all’acquisto del feudo e a stabilire su di esso un regime demaniale. Dopo aver soddisfatto nel 1774 il pagamento di 43.000 ducati il feudo di Isernia fu simbolicamente intestato ad un popolano, Cosmo Chiaia.

In questo conteso si ricorda anche l’importante figura di Giuseppe Iosa di Carlantino, in provincia di Foggia, che era avvocato fiscale, banchiere e vicario amministratore del Regio Demanio di Campobasso. Figlio di Giovanni e di Angela Orsi, sposava il 18 giugno 1720 Eleonora Pinto.

Tra i suoi discendenti attuali figura l’avvocato penalista Luigi Iosa, che vive a Campobasso (IL VIDEO).

È anche l’antenato del prof. Guglielmo Iosa di Gambatesa, deputato e senatore del Regno, più volte Sottosegretario di Stato nel Governo Mussolini, nonché di Donato Menichella, direttore generale dell’IRI e Governatore della Banca d’Italia.

Il Demanio Regio era, per la dottrina giuridica meridionale, il patrimonio della Corona che non era stato oggetto di alienazione o di concessione. In questo senso il termine “demanium” era riservato dalle fonti legislative ai beni non concessi in feudo. Giuseppe Iosa svolse la prestigiosa ed influente funzione di reggente della Vicarìa di Campobasso in un momento storico delicato per la vita di questa città, pronta, come si è detto, ad essere riscattata dai cittadini demanisti.

Quest’ultimi, finanziati anche dal Banco Iosa, anticiparono in questo modo sia la rivoluzione francese che la successiva abolizione della feudalità del 1806.

Tra i successori di Giuseppe si distinguevano nel 1700 i figli Michele e Nicola Iosa, entrambi banchieri.

In merito all’attività di banchiere di Giuseppe Iosa si menzionano i suoi “Libri di conti 1713-1776”, custoditi nell’Archivio di Stato di Campobasso e di Lucera, nonché nell’antica libreria della casa di Carlantino.

I “Libri di conti”, continuati anche dal figlio Michele Arcangelo Saverio Iosa, erano attinenti ai prestiti elargiti, con un tasso di interesse che oscillava dal 3% al 8%, dalla stessa famiglia Iosa a persone della Puglia, del Molise e della Campania. In particolare, il dottor Giuseppe Iosa, iniziatore dell’attività bancaria in famiglia, espletava la sua azione di prestiti finanziari ad iniziare dal 1713, all’età di appena 14 anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1776.

La sua attività di banchiere, esercitata ancora in assenza di un solido sistema bancario, spaziava in un’area territoriale molto vasta, che comprendeva Carlantino, Celenza Valfortore, Macchia Valfortore, Casalnuovo Monterotaro, Castelnuovo della Daunia, Castelvetere in Val Fortore e Campobasso, località un tempo in provincia di Capitanata, implicando rapporti intensi non solo con il potere economico, ma anche con quello politico-amministrativo.

Tutti i prestiti a favore della gente comune, dei potenti dell’epoca e dei cittadini demanisti di Campobasso, venivano elargiti dal Banco Iosa a mezzo di atti notarili che tuttora sono reperibili negli Archivi di Stato della Capitanata e del Molise.

Nel periodo del “decennio francese”, durante il Regno di Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, sul trono napoletano dal 1806 al 1808, oltre alla creazione di nuovi organi istituzionali tra cui il Consiglio di Stato, furono emanati provvedimenti legislativi di particolare importanza, tra cui il Decreto di eversione della Feudalità, con il quale furono abolite tutte le istituzioni feudali. Il sistema feudale che si era diffuso nel Regno di Napoli molto più tardi rispetto all’Italia settentrionale veniva considerato come uno dei maggiori ostacoli alla rigenerazione dello Stato: la sua abolizione, pertanto, si rendeva necessaria per il processo di riforma del sistema finanziario e fiscale e per rendere uniforme l’amministrazione dei Comuni.

Con la promulgazione della Legge 2 agosto 1806 sull’Abolizione della Feudalità, la famiglia Iosa perdeva – in poco tempo – una parte dell’immensa fortuna economico-finanziaria derivante principalmente dall’attività bancaria svolta in oltre un secolo di storia, atteso che molti debiti contratti regolarmente dalla gente vennero cancellati con la ristrutturazione amministrativa napoleonica, la quale nel 1806 aveva anche spostato il capoluogo provinciale di Capitanata da Lucera a Foggia e aveva dato autonomia amministrativa al Contado di Molise, elevando Campobasso a capoluogo provinciale.

Sul punto si possono confrontare: M. Palumbo, I comuni meridionali prima e dopo le leggi eversive della feudalità: feudi, università, comuni, demani, 2 Volumi, Cerignola 1910-1916, Ristampa anastatica, editore Arnaldo Forni, Sala Bolognese 1999. A. Perrella, L’eversione della feudalita nel napolitano: dottrine che vi prelusero, storia, legislazione e giurisprudenza, Tip. De Gaglia & Nebbia, Campobasso 1906, Ristampa anastatica, editore Arnaldo Forni, Sala Bolognese 1974. R. Trifone, Feudi e demani. Eversione della feudalita nelle provincie napoletane: dottrine, storia, legislazione e giurisprudenza, Società editrice libraria, Milano 1909. Pasquale Villani, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Laterza, Bari 1962. Pasquale Villani, La feudalità dalla riforme all’eversione, in «Clio», 1965, pp. 600–622. Carlantino tra storia e cronaca, nel contesto dell’antica Apulia e della Valfortore dalle origini alla metà del XX secolo di Angelo Coscia – Tipografia “San Giorgio” Editrice, Campobasso 1997. Volume I pp. 335-351 – Due Documenti per la storia cittadina di Renata De Benedittis – in Campobasso Capoluogo del Molise, a cura di Renato Lalli, Norberto Lombardi, Giorgio Palmieri – Palladino Editore, Campobasso 2008. Grande Archivio di Stato di Napoli, Biografie de’ magistrati de’ vari tribunali dall’anno 1707 al 1740, f. 125. Nota di fatto e ragioni per l’Ill. Principe di Tarsia con D. M. C., Napoli 1730. Risposta alle ingiuste e strane pretenzioni proposte dall’Ill. Duca D. M. C. per impedire il Regio Demanio domandato dalli cittadini di Campobasso, Napoli 1740. R. Trifone, Le Giunte di Stato a Napoli nel sec. XVIII, Napoli 1909, pp. 64 e ss. – M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano-Roma-Napoli 1923, I, pp. 57, 305. R. Aiello, La vita politica napol. sotto Carlo di Borbone, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972, pp. 494, 525, 531, 620. P. Litta, Le famiglie celebri ital., s. v. Carafa di Napoli, tav. XXX. Albino Pasquale, Biografie e ritratti degli Uomini illustri della Provincia di Molise, Campobasso 1864. Bellini D. (D’Attelis-Bellini), Memorie istoriche e documenti della Città di Campobasso dalla sua origine alla metà del secolo decimottavo, Firenze 1869. Colapietra R., Profilo storico-critico del Molise da Federico II ai giorni nostri, Arti Grafiche la Regione, Ripalimosani (CB) 1977. D’Andrea Umberto, Campobasso dai tempi del Viceregno all’eversione del feudalesimo. Appunti e documenti sulla topografia storica di Campobasso, Casamari, Tipografia dell’Abazia, 1984. D’Andrea Umberto, La storiografia molisana dai tempi di Giambattista Masciotta ai nostri giorni, 1914-1989, Frosinone, Casamari, 1990. D’Attellis F. – Bellini D., Memorie istoriche di Campobasso, Firenze 1869. Galanti M. G., Descrizione dello stato antico ed attuale del contado di Molise, Napoli 1781. Gasdia Vincenzo Eduardo, Storia di Campobasso, Verona Linotipia Veronese Ghidini e Fiorini, 1960. Mancini Antonio, Comunisti e Demanisti, Società Tipografica Molisana F.lli Petrucciani, Campobasso 1937. Masciotta Giambattista, Il Molise dalle origini ai nostri giorni. Il circondario di Campobasso, vol. II, Napoli, L. Pietro, 1915. Stendardo Giuseppe, Apprezzo dei beni feudali e burgenzatici con la descrizione della città di Campobasso nell’anno 1732 dell’Ingegnere Giuseppe Stendardo, Biblioteca provinciale “P. Albino” Fondo manoscritti, 1751. “La storia degli apprezzi feudali” a cura di Valeria Cocozza – Palladino Editore, Campobasso 2015.

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