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Il Club Alpino Italiano riscopre i cammini del Fortore molisano

DOMENICO ROTONDI

Si terrà nel prossimo fine settimana, sabato 6 e domenica 7 aprile 2024, un’escursione lungo il suggestivo “Tratturo Castel di Sangro-Lucera dal Ponte medievale di Toro al Borgo di Pietracatella”. L’appuntamento culturale e naturalistico, organizzato e curato dalle Sezioni del Club Alpino Italiano di Campobasso e Lagonegro (Potenza), promuoverà la conoscenza e la valorizzazione delle caratteristiche territoriali del Fortore molisano, anche con la riscoperta dei tanti Luoghi d’Arte disseminati lungo lo storico cammino. Non mancherà, perciò, il contributo diretto del Comune di Pietracatella sia con il coinvolgimento diretto di professionisti ed operatori locali che con la riapertura degli scrigni identitari presenti nell’affascinante centro storico cittadino. In tal senso, l’Amministrazione Tomassone sosterrà convintamente la pregevole iniziativa del Club Alpino Italiano, anche per far diventare Pietracatella tappa ufficiale del Pellegrinaggio verso Monte Sant’Angelo, in linea con i programmi culturali legati allo sviluppo del turismo lento e della mobilità sostenibile. Un evento analogo si terrà, durante il prossimo mese di settembre, in Basilicata, con il coinvolgimento dell’Amministrazione comunale di Chiaromonte (Potenza), realtà gemellata con la cittadina molisana.

Scheda tecnica a cura di Francesco Manfredi Selvaggi

Di origini medievali, il borgo di Pietracatella domina, dall’alto della caratteristica ‘Morgia’, la valle del Fortore e la valle del Torrente Tappino, lungo la quale si snoda una parte del Tratturo Castel di Sangro – Lucera. La vista spazia inoltre a 360° sulle colline del Sannio e sui Monti della Daunia. Il centro abitato si sviluppa tutto intorno alla Morgia, un tempo circondato da mura; sulla cima si trovano gli scarsissimi ruderi di quello che una volta era il Castello e residenza del signore. Rimane invece la Chiesa di San Giacomo, un tempo chiesa ‘palaziale’, di pregevole fattura gotico–aragonese. Al di sotto, scavata dentro la viva roccia e accessibile solo da una ripida scalinata anch’essa ricavata sulla viva roccia, si trova la Cripta paleo–cristiana di Santa Margherita.

Di importanza strategica per il controllo del sottostante Tratturo, l’agro conserva testimonianze vive di questo rapporto, tra le quali spiccano la Taverna tratturale e la cosiddetta ‘Grimalda’. Si tratta di una ‘Grancia’, ovvero una masseria dedicata prevalentemente alle attività zootecniche connesse all’industria armentizia, fondata dai Benedettini e successivamente passata in proprietà della Famiglia Ceva–Grimaldi, che per un periodo furono i signori di Pietracatella.

L’escursione che si propone permetterà di visitare la Taverna (prima di iniziare il cammino), per poi spostarsi in agro di Toro, in località Piana del Mulino/Ponte di Toro, proprio sulla sede tratturale, dove esiste un antico ponte a schiena d’asino che permette di attraversare il Tappino. Da qui ci si incammina sul Tratturo fino ad arrivare al bivio di Monacilioni.

Qui si lascia il Tratturo che più avanti non è più percorribile per la presenza di una fitta vegetazione spontanea. Si prosegue lungo una strada provinciale che costeggia il torrente Fiumarello fino ad arrivare ad un bivio dove a destra si imbocca una carrareccia che con forte pendenza ci fa uscire dalla valle per inoltrarsi nel paesaggio collinare. La vista si fa sempre più ampia sul paesaggio rurale composto da campi coltivati, oliveti, macchia, arrivando fino alle cime della dorsale appenninica (Matese, Majella). Si prosegue con leggeri saliscendi fino ad arrivare, con una deviazione, ai ruderi della Grimalda.

Si prosegue ancora con saliscendi fino a raggiungere il paese. Dire che la transumanza è un pellegrinaggio è un’eresia, ciononostante si intende verificare se questi due fenomeni abbiano qualcosa in comune. Seppure venisse fuori dall’esame che si va a esperire che essi sono cose totalmente diverse, la comparazione, comunque, vale la pena farla perché c’è una identica modalità, non da poco, davvero, del loro esplicitarsi, la quale è il camminare. Senza ulteriori preamboli andiamo a vedere subito la questione centrale specie nelle epoche passate, la religiosità che informa totalmente il pellegrinaggio (anche se vi sono effetti collaterali che vedremo dopo), uno spostamento che si compie quale atto di fede, e che esaurisce in sé il significato di tale pratica (salvo quanto si dirà alla fine) e che, però, ha qualche incidenza (in seguito vedremo che non è minima) pure sulla transumanza. Si tengano a mente le due date dell’8 maggio e del 29 settembre, ambedue festività di S. Michele (quella di maggio si tiene solo qui da noi, non sta nel calendario ecclesiastico); si pensi poi a quali sono i mesi in cui avviene la migrazione delle pecore tra l’Abruzzo e la Puglia, appunto maggio e settembre, e si è pronti per porre in correlazione le informazioni fornite: la partenza della transumanza, tanto dalla Puglia all’Abruzzo, quindi a maggio (il 1° maggio c’è la fiera di Foggia), quanto quella in verso contrario, cioè a settembre (“settembre andiamo è tempo di migrare”) deve avvenire sotto l’egida dell’Arcangelo.

È ben risaputo che Egli è il protettore dei pastori sostituendo in tale ruolo Ercole, una divinità pagana. Celebrare tale ricorrenza avrebbe propiziato un buon viaggio ai transumanti, quasi un viatico per i conducenti le greggi. In definitiva, la transumanza, proprio nel suo incipit, ha una forte impronta religiosa e in ciò c’è una similitudine, la prima, con il pellegrinaggio. La seconda è la ripetitività, perché entrambi si svolgono annualmente anche se, per la precisione, la transumanza è biannuale, l’andata e il ritorno, mentre il pellegrinaggio è un movimento di sola andata: si ritorna alla spicciolata, non più necessariamente in gruppo, dopo le celebrazioni. È interessante notare, inoltre, che i transumanti si rivolgono con le preghiere, al Protettore, all’inizio, a differenza dei pellegrini i quali, invece, lo fanno alla fine allorché raggiungono la meta, il santuario. E sì, quasi ci si dimenticava dei santuari, oggetti fisici che costituiscono l’essenza, la ragione d’essere esclusivamente dei pellegrinaggi; nella transumanza non vi sono manufatti cultuali di valenza primaria: il santo, S. Michele, non è confinato in un luogo circoscritto, lo si può venerare nelle numerose chiesette ad Esso dedicate disseminate lungo i tratturi o nelle chiese presenti nei paesi attraversati dai tratturi, molti dei quali hanno come Patrono proprio l’Arcangelo, che insieme a S. Nicola è il Santo Protettore della maggioranza dei comuni molisani.

In definitiva, S. Michele è sempre vicino ai conduttori degli armenti durante il percorso, non sta ad attendere l’arrivo dei fedeli chiuso in un santuario; Egli è in cammino, all’inseguimento del diavolo che ricaccerà all’inferno a Monte Sant’Angelo. I santuari e le cappelle che costellano i tracciati tratturali sono, tirando le somme, artefatti assai dissimili fra loro sia dimensionalmente, gli uni assai più grandi delle altre, sia per distribuzione, gli uni nei punti terminali delle percorrenze, le altre nel loro svolgimento, non, comunque, per significato, capaci come sono, gli uni e le altre, di imprimere un carattere sacro all’incedere che abbiamo indicato quale primo connotato condiviso tra pellegrinaggio e transumanza.

I santuari si distinguono dalle cappelle poiché spazi di culto di capienza assai superiore, in grado di contenere la massa di pellegrini che vi accorre in un giorno prefissato, quello dell’anniversario liturgico. I pellegrinaggi, infatti, sono collettivi, da cui l’accesso all’interno dei santuari in contemporanea dei partecipanti. Pure la transumanza si svolge collettivamente, i possessori di capi ovini la eseguono nel medesimo arco temporale, solo che essi procedono sulle piste tratturali distanziati e quando raggiungono una cappella vi si recano in visita in modo individuale, ragione per cui la superficie della stessa è limitata.

La visione comunitaria che sottende tanto il pellegrinaggio quanto la transumanza è coerente con il modo di rivolgersi alle Entità celesti alle quali si fa richiesta di misericordia non singolarmente, bensì tutti insieme, collettivamente. Nel cristianesimo antico era così per cui un intero popolo, prendi i Longobardi, si metteva, come si usa dire, sotto le ali protettrici di un unico santo, nello specifico quelle di S. Michele che è rappresentato proprio con delle belle ali ampie, alle cure del quale ci si affidava per la risoluzione di gravi problemi che affliggevano la comunità: volta per volta la carestia, gli incendi, le inondazioni e via dicendo. I transumanti avevano a cuore, di certo, l’abbondanza della pastura per gli ovini la quale doveva essere garantita ogni anno e la transumanza, assimilandola ad un pellegrinaggio, la si svolge per supplicare l’Arcangelo di intercedere presso il Padre Eterno al fine di ottenere la grazia che il cotico erboso dei pascoli fosse florido, che gli animali non si ammalassero durante la traversata, che non ci si imbattesse in bande di briganti. Dal canto suo ovvero in contraccambio S. Michele si trovava a essere venerato per ben 60 giorni, il tempo che si impiegava per eseguire la duplice transumanza, e non solamente nelle ricorrenze a Lui dedicate. È quasi un cortocircuito, trattenete il respiro: si fa la transumanza per portare le bestie, alternativamente, in pianura e in montagna e per il successo di tale operazione si invoca il Santo il quale è maggiormente sensibile alle suppliche quando sono accompagnate da pratiche di penitenza come il pellegrinaggio, che in questo caso è la stessa transumanza. Peraltro entrambi sono faticosi perché lunghi, ulteriore somiglianza.

Detto diversamente, i nostri progenitori avvertivano la sacralità dell’esistenza per cui ogni loro azione, compresa la transumanza, aveva una valenza sacrale. Del resto, se la vogliamo dire tutta, pure il pellegrinaggio è funzionale ad un’esigenza pratica, oltre che spirituale, terrena, oltre che extraterrena, alla medesima maniera della transumanza: questa è di tipo economico, nel pellegrinaggio è di tipo sociale: nella transumanza la finalità è il profitto derivante dall’attività pastorale, nel pellegrinaggio è l’incentivazione e/o l’intensificazione dei contatti tra genti provenienti da vari angoli dell’orizzonte che si incontrano presso i santuari.

Redazione

CBlive

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