Cronaca

Banche e golpe giudiziario: il parere dell’avvocato Luigi Iosa

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CONTRASTO INSORTO TRA  LA CASSAZIONE PENALE E LA CASSAZIONE CIVILE IN MATERIA DI COMPUTO DELLE COMMISSIONI DI MASSIMO SCOPERTO (CSM) NEL CALCOLO DEL TASSO EFFETTIVO GLOBALE (TEG) FINO AL 31.12.2009. IL “REVIREMENT” DELLA CASSAZIONE PENALE SUL DOLO NELL’USURA BANCARIA – a cura dell’avvocato Luigi Iosa.

Con l’entrata in vigore, in data 03.04.1997, della legge 07.03.1996, n. 108, il legislatore ha attuato una riforma integrale del reato di usura criminale e bancaria, disciplinato dall’art. 644 del codice penale. Difatti, si è abbandonato quasi  del tutto il vecchio schema dell’usura soggettiva, basata sull’approfittamento dello stato di bisogno della vittima per passare ad uno schema di usura oggettiva, basata principalmente sul superamento di un tasso massimo di costo del denaro prestato. Senza scendere nei particolari della novella legislativa, va chiarito che il legislatore ha previsto nel nuovo art. 644 c.p., esattamente al 3° comma, che la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.

Tale limite legale oltre il quale gli interessi devono considerarsi fuorilegge, secondo l’art. 2 della legge n. 108/96, deve essere determinato ad oggi dalla Banca d’Italia nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), prima Ministero del Tesoro, secondo quanto stabilito dall’art. 2 bis della legge 28.01.2009, n. 2 che ha convertito in legge, con modificazioni, il D.L. n. 185/2008, noto come “il pacchetto misure anticrisi o Tremonti”. In parole semplici, il legislatore ha creato con l’art. 644 c.p. una norma penale parzialmente in bianco, dove il precetto è in parte indeterminato e la sanzione è determinata. La norma penale in bianco, come è noto, si differenzia dalla norma di legge che ha, a sua volta, il precetto e la sanzione determinati. Di talché, nella norma penale in bianco, il precetto penale in genere deve essere integrato da fonti regolamentari, dette anche fonti secondarie. Solo in questo caso il precetto penale, indicato nel 3° comma dell’art. 644 c.p., diventerà determinato. Pertanto, il legislatore italiano ha voluto dare mandato alla Banca d’Italia e al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) per completare il precetto penale e cioè ha voluto affidare ai due organi amministrativi il compito di individuare il limite legale oltre il quale gli interessi sono da considerarsi sempre usurari. Ma vi è di più: lo stesso legislatore, onde evitare un deficit di tipicità e un’insufficiente determinatezza del precetto penale, ha espressamente indicato ai due organi amministrativi i parametri oggettivi per misurare il costo effettivo del credito. Infatti, l’art. 644, 4° comma, c.p. stabilisce che per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito. In altri termini, la Banca d’Italia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), al fine di misurare il tasso effettivo di interesse applicato dagli intermediari bancari e finanziari per ogni singolo finanziamento, devono tenere conto di tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito.

Il nostro legislatore ha indicato, altresì, al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e alla Banca d’Italia, che svolge anche funzione di vigilanza sul sistema bancario e finanziario, l’iter procedimentale da seguire per determinare il tasso massimo di interesse ossia il c.d. tasso soglia o tasso di usura. Nello specifico, il 1° comma dell’art. 2 della legge 07.03.1996, n. 108, impone ai due autorevoli organi amministrativi il compito di rilevare trimestralmente il tasso effettivo globale medio (TEGM), comprensivo di commissioni, di remunerazione a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, nonché impone agli stessi che i valori medi derivanti da tale rilevazione siano pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale. Il TEGM è l’indicatore fisiologico medio del mercato. Inoltre, il 4° comma dell’art. 2 della legge 07.03.1996, n. 108, modificato dalla Legge 12.07.2011, n. 106, che ha convertito in legge, con modificazioni, il D.L. n. 70/2011, noto come “il Decreto Sviluppo”, detta le regole per individuare il tasso soglia, precisando ai due organi amministrativi in questione quanto segue: “Il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella gazzetta ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. la differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali”. Ciò premesso, è il caso di capire se in concreto i due organi amministrativi sopra indicati abbiano tradotto il dato normativo, previsto dall’art. 644 c.p. e dall’art. 2 della legge 07.03.1996, n. 108, in formule matematiche esatte. La risposta, senza scomodare i principi cardine della Tecnica Bancaria o della Matematica Finanziaria, è oggettivamente negativa. La Banca d’Italia avrebbe dovuto utilizzare gli algoritmi giusti e avrebbe dovuto garantire, attraverso corrette indicazioni, le vere modalità di misurazione del costo del credito in tema di rilevazione del tasso soglia ai sensi della legge antiusura. Invece, i due organi amministrativi hanno palesemente disatteso sia i parametri oggettivi, contenuti nel 4° comma dell’art. 644 c.p., che l’iter procedimentale, indicato nell’art. 2 della legge 07.03.1996, n. 108, per rilevare il tasso effettivo globale medio (TEGM) e il tasso soglia usura (TSU). In particolare, la Banca d’Italia – negli anni – ha diramato indicazioni errate, trasmigrate in Istruzioni e Circolari. Il Ministero del Tesoro, ora Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), a sua volta, ha fatto erroneamente veicolare dette Istruzioni della Banca d’Italia in Decreti Ministeriali. Le Istruzioni applicative della Legge antiusura, emanate dalla Banca d’Italia, infatti, non includevano principalmente nel calcolo del tasso effettivo globale (TEG), che è il prezzo del singolo finanziamento, le commissioni di massimo scoperto (CSM), ora commissioni di istruttoria veloce (CIV) o commissioni disponibilità fondi, e la capitalizzazione infrannuale degli interessi. Inoltre, la Banca d’Italia, nelle sue indicazioni, escludeva il computo degli interessi su base annua e praticava un raffronto con il credito accordato anziché con quello erogato. Questa attività di legislatore secondario affidata alla Banca d’Italia dal legislatore primario ha di fatto arrecato gravissimi danni agli utilizzatori del credito, in quanto, rebus sic stantibus, il tasso soglia difficilmente – dall’entrata in vigore della legge antiusura (1997) – è stato superato dal tasso effettivo globale (TEG), irresponsabilmente orfano dell’incidenza delle commissioni di massimo scoperto (CMS) e della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori; che le Istruzioni della Banca d’Italia fossero errate se ne erano accorti prima gli analisti indipendenti, poi la giurisprudenza di merito, nel 2009 anche il legislatore con la sopra citata legge n. 2/2009, sicuramente di interpretazione autentica, e successivamente nel 2010 la stessa giurisprudenza di legittimità. Si ricordano, in particolare, le sentenze storiche (la numero 12028/2010, la numero 28743/2010 e la numero 46669/2011 della II Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione) che hanno censurato definitivamente l’operato scorretto della Banca d’Italia fino al 2009 e che hanno decretato l’illegittimità delle direttive integratrici del precetto penale promananti dall’ Authority competente ad emanarle. Le tre indicate sentenze hanno enunciato il seguente principio di diritto: nel calcolo del tasso usurario devono computarsi gli interessi anatocistici e le commissioni di massimo scoperto (CMS), i primi perché l’illiceità della pratica della capitalizzazione  degli interessi a debito del correntista ne determina la qualificazione in termini di remunerazione ulteriore che si aggiunge agli interessi semplici e la seconda perché il carattere generale e indifferenziato della disposizione di cui all’art. 644, 4° comma, c.p., non consente di individuare eccezioni alla regola dell’inclusione, nel calcolo del tasso usurario, di tutti i compensi collegati all’erogazione del credito, uno dei quali è costituito, appunto, dalla commissione di massimo scoperto. In contrario non giova addurre che le Istruzioni della Banca d’Italia non prevedevano, nei periodi in cui si riferiscono le contestazioni, che il tasso usurario fosse determinato includendo nella formula del relativo calcolo anche l’anatocismo e le commissioni di massimo scoperto (CMS), trattandosi di disposizioni di natura regolamentare che giammai possono derogare una norma di rango superiore qual è l’art. 644, 4° comma, c.p., ovvero il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 del codice civile. Per concludere il discorso circa l’illegittimità delle Istruzioni impartite nel tempo dalla Banca d’Italia, va ricordato che lo stesso Organo di Vigilanza nel 2012 ha smentito se stesso, poiché ha deciso di rivedere la metodologia di calcolo e ha proposto di rendere obbligatorio il calcolo su base annua, e quindi di moltiplicare per quattro l’onere trimestrale di tutti gli oneri da includere nel tasso effettivo globale (TEG), compresa la commissione di istruttoria veloce (CIV). Tale ravvedimento, dunque, non può che essere interpretato quale implicita affermazione di un errore compiuto in precedenza proprio nella rilevazione del costo del credito. Tuttavia, con una recente sentenza n. 22270 del 03.11.2016, la I Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione è tornata sul tema della rilevanza da attribuire alle commissioni di massimo scoperto (CMS), addebitate dagli istituti di credito nell’ambito dei rapporti di conto corrente, ai fini della verifica – ex legge n. 108/1996 – del TEG praticato dalla singola banca. Mediante la sentenza in questione la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Civile, andando a consolidare il proprio orientamento (Cfr. Corte di Cassazione, I Sezione Civile, sentenza n. 12965 del 22.06.2016), ha ribadito che, sino all’anno 2009, le commissioni di massimo scoperto (CMS) non debbano essere ricomprese nel calcolo del TEG, da determinarsi in conformità alle Istruzioni all’uopo emanate dalla Banca d’Italia, Istruzioni che – per l’appunto – escludevano dal computo del TEG il prefato onere sino al 31.12.2009. La conclusione cui giunge la Cassazione, Sezione Civile, trae principalmente origine dal 2° comma dell’art. 2 bis del citato decreto legge n. 185 del 2008 – introdotto dalla legge di conversione n. 2 del 28.01.2009 – che da un lato ha espressamente stabilito che: “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 07.03.1996, n. 108”, dall’altro ha previsto che: “il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 07.03.1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”. Secondo i Giudici Civili della Suprema Corte, alla sopra citata disposizione normativa non può riconoscersi natura interpretativa, trattandosi – piuttosto – di un intervento di carattere innovativo. Pertanto, tenuto conto che la Banca d’Italia soltanto con l’aggiornamento dell’agosto 2009 delle proprie “Istruzioni” (vigenti per la rilevazione dei tassi soglia decorrenti dal 01.01.2010) ha stabilito che le commissioni di massimo scoperto (e gli oneri equipollenti) rilevino ai fini del calcolo del TEGM, la Cassazione, Sezione Civile, ha ribadito che, sino a tale data (31.12.2009), la verifica della conformità alla normativa antiusura del TEG di un rapporto di conto corrente debba essere fatta escludendo dal suo computo le commissioni di massimo scoperto (CSM). In sintesi, l’orientamento sul tema assunto dalla I Sezione Civile della Corte di Cassazione si contrappone in maniera netta a quello assunto – sulla stessa questione – dalla II Sezione Penale del medesimo Supremo Collegio: con le sentenze n. 12965 del 22.06.2016 e n. 22270 del 03.11.2016, difatti, i Giudici Civili hanno espressamente criticato le sopra elencate pronunce n. 12028/2010, n. 28743/2010 e n. 46669/2011, mediante le quali i Colleghi della II Sezione Penale – riconoscendo natura interpretativa (e non innovativa) all’art. 2 bis del Decreto Legge n. 185/2008 – avevano giudicato le commissioni di massimo scoperto (CMS) rilevanti ai fini del computo del TEG anche per il periodo antecedente al 2010 e ciò a prescindere dalle difformi indicazioni impartite dalla Banca d’Italia. La Cassazione, Sezione Penale, invece, non risparmiando toni sanzionatori nei confronti della Banca d’Italia, ha sempre fondato le proprie tesi sull’ineludibile – e invero assai chiaro – disposto dell’art. 644 c.p., secondo il quale “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”. Di contro, i Giudici della I Sezione Civile, assumendo un orientamento non condivisibile e peraltro stridente con la natura di “remunerazione dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo” attribuita dagli stessi Giudici alla commissione di massimo scoperto, hanno deciso di anteporre le Istruzioni della Banca d’Italia alla norma penale. I Giudici della I Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione dovrebbero chiarire, semmai, come si possa spiegare ad un correntista/imprenditore che le commissioni di massimo scoperto (CMS), da questi pagate sino al 31.12.2009, non rappresentano una “remunerazione collegata all’erogazione del credito” percepita dalla banca: il che è del tutto fuori dalla normativa penale (art. 644 c.p.), introdotta della legge 07.03.1996, n. 108. Il contrasto insorto tra la giurisprudenza penale e la giurisprudenza civile circa il computo delle commissioni di massimo scoperto (CSM) nel calcolo del tasso effettivo globale (TEG) fino al 31.12.2009 rappresenta un caso quasi unico nella storia della nostra giurisprudenza di legittimità, atteso che la Cassazione Civile ha di fatto invaso il campo della Cassazione Penale in materia di reato (art. 644 c.p.), senza che tale conflitto, tra l’altro, sia risolvibile ricorrendo alla Sezioni Unite, in quanto non è contemplata nel nostro ordinamento giuridico vigente una soluzione a Sezioni Unite (Civili o Penali) per contrasti sullo stesso argomento tra la Cassazione Civile e la Cassazione Penale, anche se la giurisprudenza penale ha una tendenziale prevalenza su quella civile (ciò è desumibile implicitamente anche dall’art. 651 c.p.p.), dal momento che è destinata a garantire una maggiore tutela della collettività rispetto a quella civile. Non si può sottacere che la materia penale è dominata esclusivamente dalla legge e la legalità si verifica solo mediante il confronto con la norma (art. 644, 4° comma, c.p.). È evidente che il contrasto in questione ha generato una grande sfiducia nella Giustizia da parte dei cittadini consumatori bancari, nonché una loro inevitabile confusione, poiché assistono inermi ad un contrasto giurisprudenziale senza precedenti, dannoso e non sanabile, in pregiudizio del sistema economico, nonostante la funzione di nomofilachia della Corte Suprema di Cassazione. Per funzione nomofilattica o nomofilachia nel diritto, fino a prova contraria, si intende comunemente il compito di garantire l’osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l’unità del diritto in uno Stato nazionale. Tale funzione nell’ordinamento italiano è descritta dall’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario (R.D. 30.01.1941 n. 12): «La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge. La corte suprema di cassazione ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio del regno, dell’impero e su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato». Funzione che il Regio Decreto del 1941 attribuisce alla nostra Corte Suprema di Cassazione. La funzione nomofilattica della Cassazione si articola in due sottofunzioni ben distinte: da un lato garantire l’attuazione della legge nel caso concreto, realizzando la giurisdizione in senso stretto, dall’altro fornire indirizzi interpretativi “uniformi” per mantenere, nei limiti del possibile, l’unità dell’ordinamento giuridico, attraverso una sostanziale uniformazione della giurisprudenza.

Il controllo degli indirizzi interpretativi obbedisce all’elementare esigenza di garantire la certezza del diritto. Infine, con sentenza n. 49318 del 25.10.2016, la II Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione ha modificato, senza seguire un iter logico-giuridico convincente, un suo precedente e costante orientamento sull’elemento soggettivo del reato di usura bancaria. Infatti, per la Cassazione Penale, l’articolo 644 c.p. richiedeva pacificamente il dolo generico, essendo sufficiente per gli ermellini che l’agente si rappresentasse e volesse farsi dare o promettere, tramite la stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive, interessi usurari, oppure interessi usurari in concreto da persona in difficoltà economico-finanziaria. Rilevato, altresì, che il tema dell’ammissibilità del dolo eventuale non ha mai destato negli ultimi tempi l’attenzione della giurisprudenza di legittimità, che anzi ha ritenuto implicitamente corretta la risposta affermativa al quesito, la dottrina maggioritaria ritiene del pari, ed in modo pienamente condivisibile, che l’elemento soggettivo sussista anche quando vi sia la prova che l’agente “abbia accettato il rischio che la controprestazione fosse usuraria, cioè che fosse superiore alla soglia legale il corrispettivo ottenuto in promessa o percepito”. Da segnalare tuttavia, accanto ad un filone intermedio che considera compatibile il dolo eventuale solo per l’usura soggettiva o in concreto (art. 644, 3° comma seconda parte, c.p.) una risalente e recessiva corrente giurisprudenziale (formatasi peraltro nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 644 c.p.) a mente della quale il dolo eventuale non potrebbe trovare cittadinanza nel reato de quo. Questo orientamento, risalente agli anni ’80, è stato rispolverato all’improvviso dalla II Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione con la citata sentenza n. 49318 del 25.10.2016, che ha sostituito il dolo diretto al dolo generico. Sul punto la Suprema Corte così si è espressa: “Passando, quindi, al punto della natura dell’elemento soggettivo del reato di usura, si registra un risalente orientamento di questa Corte, anteriore alla riforma dell’art. 644 c.p. ma che conserva – con i dovuti adattamenti perdurante attualità: il reato di usura è punibile solo a titolo di dolo diretto, che consiste nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari. Infatti, il dolo eventuale o indiretto postula una pluralità di eventi (conseguenti all’azione dell’agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell’attuazione del suo proposito criminoso) che non si verifica nel reato di usura in cui vi è l’attingimento dell’unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile (Sez. 2, n. 1789 del 21/06/1983 – dep. 01/03/1984, Gaiotto, Rv. 162875; Sez. 2, n. 6611 del 12/01/1983 – Priotti, Rv. 159935)”. È superfluo ribadire che tale orientamento giurisprudenziale, ammettendo il dolo diretto in luogo del dolo generico ed eventuale in materia di usura (criminale e bancaria), è in contrasto con i più elementari principi di diritto.

 

Redazione

CBlive

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