Impara l'arte con... CBlive e Sergio Marchetta

‘Impara l’arte’ presenta Giada Primiano: la passione in punta di piedi

ImmagineSERGIO MARCHETTA

Avere di fronte una danzatrice equivale per definizione a trovarsi al cospetto di qualità come la grazia e l’eleganza. Incontrare Giada Primiano è tutto questo ma a completare il quadro si aggiunge un colore tanto virtuoso quanto importante: la semplicità. Quella intesa come immediatezza delle emozioni, trasparenza delle parole e genuinità dei gesti. Scongiurata la pioggia che ha attentato alla nostra chiacchierata inizio a conoscere questa giovanissima artista dagli occhi esclamativi.

Giada, tu sei una di quelle anime coraggiose che ha deciso di intraprendere il “viaggio” che porta lontano dalle origini geografiche in nome della passione per l’arte e in particolare per la danza.
“Mi sono trasferita a Roma a soli quindici anni e lo scorso giugno ho completato gli studi in Accademia Nazionale di Danza; è stato un percorso di audacia ma soprattutto dettata dalla passione e dal desiderio”.

Per te la danza è stata una “scelta” o un “sentirsi prescelta”?
“Mi sono avvicinata alla danza da molto piccola; avevo cinque anni quando, guardando un saggio in televisione, iniziai a ballare davanti allo schermo. Mia sorella maggiore era lì a spiarmi e mise la pulce nell’orecchio di nostra madre. Giunse così la decisione di farmi studiare danza. Da lì è stato una sorta di gioco che è andato sviluppandosi forse anche inconsapevolmente da parte mia, almeno all’inizio. Ma il gioco poi mi ha fatto scoprire la passione e si è trasformato in una scelta di vita. Oggi senza danza io non mi immaginerei”.

Quanto equilibrio deve esserci tra passione, consapevolezza e progettualità?
“Deve esserci soprattutto razionalità: io amo sognare e fantasticare ma guardo in faccia la realtà. Come nella vita anche in arte se di fronte a una resa dei conti, di fronte a una prova ci si rende conto di una certa inadeguatezza bisogna avere la lucidità di cambiare strada. Personalmente io sono ancora nella fase della scoperta e del coraggio”.

Il tuo cammino artistico è partito da un’intuizione di tua sorella. Quanto ti ha appoggiato la famiglia nel corso di questi anni di formazione?
“Ho al mio fianco dei genitori intelligenti che mi hanno sostenuto psicologicamente, materialmente e fisicamente; e tutto questo mi ha stimolato a dare risultati sempre positivi. Ovviamente è difficile da parte di un genitore vedere partire una ragazzina di quindici anni da sola. Eppure loro si sono sempre fidati di me e della mia determinazione; devo tutto a loro e tanto a me stessa per aver lottato per finalizzare i miei sacrifici”.

Frequentare l’Accademia Nazionale ti ha privato in qualche modo di alcune cose “normali” tipiche dell’adolescenza?
“Ho sacrificato tanto e paradossalmente mi mancavano le cose più banali: stendermi sul divano dopo pranzo, guardare un programma alla Tv, fare una passeggiata con un amico. In particolare i primi anni sono stati difficilissimi in quanto provenivo da una scuola privata di provincia ed ero circondata da altri ragazzi più preparati di me. Gli anni e la tenacia mi hanno portato ai risultati che ho ottenuto. Eppure non cambierei niente se dovessi tornare indietro perché sono stati tutti sacrifici che volevo fare e quindi sacrifici benedetti. La mia voglia di sudare per la danza è stata sempre molto più forte di quella di prendere un aperitivo in compagnia al bar”.

Che cos’è la disciplina?
“La disciplina serve a educare il corpo, l’esercizio e la mente. Senza lasciare nulla al caso e senza mai rimandare lo sforzo e la determinazione. Ma la disciplina è anche il rispetto nei confronti dell’insegnante, delle colleghe e dell’ambiente. La danza è una forma d’arte che forse risente un pò dell’impostazione “arcaica”; però a volte “abbassare la testa”, porgere l’inchino al maestro serve a ricordarsi che c’è qualcuno migliore di te”.

Quanto ti ha cambiata la danza?
“La danza è nata con la mia ragione e quindi ha fatto sempre parte di me. Tanto mi ha cambiata il trasferimento, perché ho conosciuto un altro ambiente, un altro tipo di disciplina e di vedere il mondo che mi ha emozionato: è fondamentale l’approccio alle scelte della vita e all’arte”.

Hai mai pianto per la danza?
“Tantisime volte. Non ho mai pianto per i rimproveri in sala, forse per orgoglio; poi a casa, magari al telefono con mia madre, mi sfogavo in lacrime. E tante volte ho avuto gli occhi lucidi di fronte a un complimento”.

Esprimersi nella danza vuol dire avvalersi soprattutto della propria corporeità senza far uso della parola: questo è un limite secondo te rispetto ad altre forme d’arte?
“Ho avuto la fortuna di approcciarmi anche al teatro per cui so bene quanto sia diretta la parola: ad essa puoi dare una forma e un’intonazione che le consente di arrivare al pubblico in maniera istantanea. Il linguaggio teatrale, sia narrativo che concettuale, è univoco. La danza, invece, è più soggettiva, interpretabile e meno diretta per cui ogni spettatore può cogliere emozioni e messaggi differenti”.

Cosa rappresenta il pubblico per te?
“Io amo il palcoscenico. La platea buia che piano piano si illumina fino a lasciar distinguere i visi degli spettatori mi trasmette una sensazione indescrivibile, energia e voglia di comunicare. Il pubblico è amico mio, altrimenti io non esisterei in quanto artista”.

Hai mai pensato a te stessa nei panni dell’insegnante?
“Mi piacerebbe insegnare ma non ora. L’insegnante è per l’allievo un mentore e a me serve ancora fare tanta esperienza per arricchirmi prima di riuscire a trasmettere”.

Basta il talento per essere artisti?
“Se non ci sono tenacia, determinazione e un carattere pregnante non arrivano i risultati; anche se possiedi talento e doti fisiche perfette”.

Che cos’è il successo per te?
“Io danzo perchè mi fa stare bene e mi fa sentire me stessa. Meglio un fallimento che un rimpianto. Quindi non ho ancora voglia di pensare al successo. Il successo può essere improvviso o graduale ma comunque rischioso. E poi il successo nel mondo della danza è sempre limitato, marginale, ha un’altra dimensione quasi elitaria”.

Potrebbe essere opportuno avvicinare i bambini alla danza nell’ambito della formazione scolastica?
“Secondo me sarebbe più necessario educare al corpo, al rispetto della fisicità. Muoversi e ballare è sempre un piacere ma la danza classica è una scelta seria”.

Il corpo è lo strumento della danza: un fisico che invecchia cosa rappresenta per una ballerina?
“Una ballerina segnata dal tempo non avrà la stessa leggiadria della gioventù, ma magari un solo gesto di mano può diventare poesia. Nella danza l’addio alle scene è intorno ai quarant’anni eppure la Fracci, per esempio, ha conservato a lungo la capacità di emozionare il pubblico anche soltanto attraverso una “camminata” sul palco”.

La tua è una disciplina selettiva, anche dal punto di vista della fisicità. Quanto è alto il rischio di cadere in disordini di tipo alimentare per ottenere prestazioni migliori? E’ ancora un tabù parlare dell’anoressia nell’ambito della danza?
“E’ un problema reale che dipende molto dagli insegnanti ma anche dal tipo di personalità dell’allieva. Io ho avuto la fortuna di sdrammatizzare certi messaggi e di non cascarci”.

Nel tuo corso di studi ti sei avvicinata anche alla musica, soprattutto dal punto di vista storiografico: cosa rappresenta il suono per la danza?
“L’anima. La completezza”.

Quanto sogni?
“Tantissimo! Ho avuto un approccio sempre razionale e ponderato nei confronti della danza ma so bene che il sogno è il sale della vita. E poi è gratis”.

Conoscere Giada Primiano è stato un bel viaggio che si è avviato e concluso all’insegna di quella tenera umiltà di chi sa di dover faticare ancora a lungo ma con la lucida consapevolezza delle proprie meravigliose forze. Le forze di una ventenne che, come lei stessa dice, ha capito che nella vita nulla è scontato, soprattutto la felicità.

Redazione

CBlive

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