Politica

Referendum sulle trivellazioni in mare, si vota domenica 17 aprile 2016. Le ragioni del sì e del no

TRIVELLEANDREA VERTOLO

Entra nel vivo la campagna referendaria sulle trivellazioni, che vedrà, il prossimo 17 aprile, i cittadini italiani esprimersi a favore o contro l’abrogazione della norma, in base alla quale, le concessioni petrolifere già rilasciate hanno effetto fino all’esaurimento dei giacimenti di petrolio.

La domanda posta agli elettori, in sostanza, è questa: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il quesito, quindi, riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa. Non sono citate, invece, le trivellazioni su terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa.

Per comprendere meglio il percorso che ha portato all’elaborazione di un unico quesito referendario, bisogna fare un passo indietro.

Il primo sostenitore del referendum contro le trivellazioni fu Pippo Civati il quale, con il suo movimento politico ‘Possibile’, aveva proposto, già nel settembre del 2015, otto quesiti, ma non riuscì a raggiungere la soglia delle 500mila firme necessarie per la richiesta di un referendum popolare. Subito dopo, sempre su posizioni contrarie alle attività petrolifere in mare, arrivò l’impegno di dieci consigli regionali: Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. L’Abruzzo si è, poi, ritirato dalla lista dei promotori.

Sei erano i quesiti proposti dalle regioni, ma il 17 aprile i cittadini italiani potranno esprimersi solo su uno, in quanto, nel dicembre del 2015, il Governo propose delle modifiche alla legge di stabilità sugli stessi temi affrontati dai quesiti referendari. Gli altri quesiti, quindi, non sono stati ammessi in quanto già presenti nella legge di stabilità.

Le regioni italiane sopraindicate, insieme a tante associazioni come Greenpeace, Wwf, Agesci  e il Comitato No Triv, si mobiliteranno per far votare ‘sì’.  Se vincerà il sì sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente.

Con la vittoria del sì le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana cesseranno quando scadranno i contratti, non quando finirà il petrolio.

È evidente che il fronte del sì  è impegnato, soprattutto, nel  raggiungimento del quorum, in quanto con un solo quesito e con un’unica data, non legata a nessuna votazione amministrativa o politica, non sarà semplice portare più della metà degli elettori alle urne. Ciò nonostante, i promotori del referendum dovranno fare i conti anche con i sostenitori del ‘no’.

A capo degli oppositori all’abrogazione, l’ex Pci e presidente della Gepi (la Società per le gestioni e partecipazioni industriali) Gianfranco Borghini, secondo cui il settore degli idrocarburi potrebbe, a dispetto di quanto affermato dai promotori del referendum, essere fonte di opportunità di investimento e ricerca. Inoltre, per Borghini, le attività di trivellazione possono portare vantaggi in termini occupazionali ed economici.

I sostenitori del si, invece, considerano superato da tempo l’utilizzo di energia fossile. Il futuro, secondo i promotori del referendum, deve basarsi sulle energie rinnovabili. Inoltre si qualifica scarsa la qualità del petrolio italiano, considerata tale anche dall’Unione Europea.

Il rischio più grande resterebbe, in ogni caso, quello di un inquinamento perenne del mare, in caso di errori legati alle attività di trivellazione.

Queste posizioni sono state sposate anche da diverse parti politiche, come il Movimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà e la minoranza del Pd, guidata da Speranza.

Di certo la vittoria del sì metterebbe in forte imbarazzo il governo Renzi, il quale ha tentato fino all’ultimo di evitare la consultazione popolare. Proprio a favore delle concessioni, il premier Renzi affermò l’importanza di “garantire la manutenzione degli impianti, l’impatto ambientale degli stessi e anche circa cinquemila posti di lavoro”.

Il 17 aprile si saprà, quindi, se gli italiani, chiamati per la prima volta a votare a favore o contro una decisione dell’attuale Governo, si fideranno più delle parole del proprio Presidente del Consiglio, oppure daranno ragione alla più limpida e trasparente acqua del proprio mare.

 

Redazione

CBlive

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