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Il magistrato Nino Di Matteo agli studenti molisani: “I mafiosi sono colti e frequentano i salotti dell’alta società. Sono infiltrati nella politica, nell’imprenditoria e nelle istituzioni. Gli ignoranti sono solo la parte militare”

Vincenzo Musacchio durante l'incontro con gli studenti della 'Petrone' di Campobasso
Vincenzo Musacchio durante l’incontro con gli studenti della ‘Petrone’ di Campobasso

GIUSEPPE FORMATO

La mafia ha paura più della scuola che della magistratura: può essere riassunto nel famoso assunto dell’ex capo del Pool antimafia, Antonino Caponnetto, lo scopo del progetto ‘Legalità bene comune’, che ha preso il via questa mattina, sabato 24 ottobre 2015, attraverso un momento di confronto con gli studenti dell’Istituto Comprensivo ‘Igino Petrone’ di Campobasso.

A inaugurare il corso di lezioni il direttore della Scuola della legalità ‘don Peppe Diana’, Vincenzo Musacchio, insieme con alcuni esponenti dell’amministrazione comunale del capoluogo: l’assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili, Emma de Capoa, l’assessore alle Politiche per il Sociale, Alessandra Salvatore, e i presidenti delle rispettive Commissioni consiliari, Giovanna Viola (cultura) e Giovanni Di Giorgio (politiche giovanili).

“La mafia – l’intervento del magistrato Nino Di Matteo – non è solo quello vi vogliono far credere, composta da persone ignoranti e incapaci di elaborare strategie, perché questo è solo l’aspetto militare e militante di tale organizzazione criminale. La mafia è, al contrario, guidata da persone colte, che hanno studiato, dall’aspetto apparentemente di un cittadino onesto e ligio al dovere e che frequentano i salotti della cosiddetta alta società, a Palermo, come a Roma, Milano e in Emilia Romagna. I mafiosi sono cittadini capaci di elaborare astute e complicate strategie, persone infiltrate nella politica, nel mondo economico-imprenditoriale e, perfino, nelle istituzioni”.

L'assessore de Capoa e i consiglieri comunali Viola e Di Giorgio
L’assessore de Capoa e i consiglieri comunali Viola e Di Giorgio

“Non soffermatevi troppo – le significative parole di colui che più volte si occupato dei rapporti tra Cosa nostra e alcuni alti esponenti delle istituzioni – sulle informazioni della stampa, perché non affrontano il problema. Nei limiti della mia professioni, da presidente onorario di questa Scuola di legalità cercherò di dare anche io il mio contributo, perché dai giovani occorre formarsi una coscienza civica”.

Questo è il contenuto della lezione agli studenti, tramite un audio-messaggio, del magistrato Nino Di Matteo (sotto scorta dal 1995), presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo, impegnato nel processo sulla presunta trattativa Stato-Mafia, iniziata dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, morti proprio per le loro indagini.

“La prima confisca dei beni sequestrati alla mafia c’è stata a Campobasso e il ponte sulla diga del Liscione fu costruito da una società che, anni dopo, si scoprì avere collusioni con la malavita organizzata, legata a Vito Ciancimino” ha sottolineato il direttore della Scuola di legalità ‘don Peppe Diana’, Vincenzo Musacchio, agli studenti del capoluogo.

“Occorre tenere alta la guardia – le parole di Musacchio – e iniziare dalle giovani generazioni. Fare qualcosa di legale deve farci sentire con la coscienza a posto. Il nostro compito è quello di riflettere e ripensare a coloro che hanno sacrificato la propria vita per assicurare un futuro migliore, proprio come hanno fatto i giudici siciliani Falcone e Borsellino. Entrambi sono morti perché sono stati lasciati soli – ha ribadito – e a dirlo non è Vincenzo Musacchio, ma chi nella magistratura, pochi, non ha voltato loro le spalle, come Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia. Borsellino, un mese prima di morire, chiese, ma invano, che le auto parcheggiate sotto casa dell’anziana madre fossero rimosse. Un appello rimasto inascoltato e lui morì proprio in via D’Amelio sotto la deflagrazione di una Fiat 126. Falcone, invece, fu accusato di aver messo le bombe nella sua villa al mare solo per questioni di protagonismo. Fu solo un attentato fallito. Qualche settimana dopo la strage di Capaci”.

L'auditorium dell'Istituto Comprensivo 'Petrone' durante l'incontro
L’auditorium dell’Istituto Comprensivo ‘Petrone’ durante l’incontro

“Non si deve essere indifferenti alla verità, l’unico elemento ­­– le parole di Musacchio agli studenti –  che può rendervi liberi. Serve una reazione, una ribellione, una rivoluzione culturale e sociale, che deve partire dal basso, dai più giovani. All’omertà occorre rispondere con le parole, perché, come ci ha insegnato Borsellino, per combattere la mafia l’importante è parlarne, discuterne”.

“Il progetto – ha spiegato l’assessore de Capoa nel saluto iniziale – mira a diffondere la legalità tra i ragazzi, perché quest’ultima è la premessa indispensabile per la crescita degli individui. Occorre formare nei giovani una personalità consapevole, in grado, una volta adulti, di difendere i diritti propri e degli altri. L’Italia occupa il quinto posto tra le Nazioni più sviluppate dal punto di vista civile per corruzione. Un dato che ci dovrebbe far riflettere. Vuol dire che le pratiche illegali sono dilaganti. Per iniziare una seria battaglia di legalità e civiltà, lo Stato – ha concluso Emma de Capoa – dovrebbe garantire quei diritti che la mafia fa apparire come favore”.

Gli studenti dell’Istituto Comprensivo ‘Petrone’, entusiasti e molto attenti, alla fine della lezione hanno rivolto diverse domande a Vincenzo Musacchio, così l’incontro si è protratto oltre un’ora rispetto al tempo inizialmente previsto.

“Questo è stato solo il primo incontro – hanno affermato Musacchio e de Capoa – e non mancheranno ospiti di prestigio, testimoni diretti di ciò che racconteremo nelle prossime lezioni, come i parenti più stretti di coloro che sono morti per mano della mafia”.

Redazione

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