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Storie di giovani / Da Campobasso a Changsha, così Lorenzo Baldini investe con un ristorante molisano in Cina

LorenzoMARIA CRISTINA GIOVANNITTI

Negozi che chiudono, case in vendita, aziende che riducono il personale e pile e pile di curricula accumulati senza speranza. La triste realtà del Molise e di Campobasso, riflesso di una situazione nazionale, è ormai questa. La storia di Lorenzo Baldini è, invece, la storia di un investimento al contrario: mentre in Italia la grave depressione economica rende spietata la concorrenza cinese, lui è un giovane campobassano che, con una laurea in ‘Comunicazione dell’enogastronomia’, emigra proprio in Cina e lì decide di investire soldi e competenze. Così, con il supporto di alcuni amici, apre una società ed a breve inaugurerà un ristorante italiano di cucina molisana a Changsha, cuore pulsante dell’ espansione economica cinese. Un investimento innovativo per la Cina dove sono davvero pochi gli italiani che decidono di vivere lì e lavorare.

Lascia ‘momentaneamente’ la sua famiglia e la sua città, con non poco rammarico, ma deve farlo per non affossarsi nell’immobilismo campobassano, un ambiente di nicchia e di lobbies, per certi versi. Eppure la speranza è quella di investire all’estero per poter tornare, poi, a casa propria. Così ci racconta la sua storia.

Un biglietto di sola andata che da Campobasso ti ha portato a Changsha. Quando e perché questa scelta? “Ho un carissimo amico che vive lì, insegnando. Dopo essermi laureato, sono stato un mese da lui, a Wuhan. In quel periodo ho riconsiderato tutte le cose che credevo di sapere sulla Cina, ed ho sfatato tanti luoghi comuni che sovente si sentono in giro. Mi ero già inconsapevolmente innamorato. Sono una persona piuttosto intraprendente e mi sento un apolide. Essendo legato professionalmente al mondo dell’enogastronomia, quando l’anno scorso si è presentata l’occasione di aprire una nostra attività di ristorazione a Changsha (la città simbolo della grande espansione economica della Cina), non ho perso tempo, ho preparato tutto quanto necessario e sono partito, a febbraio”

 Ci racconti com’era la tua vita qui a Campobasso, prima di partire? “Campobasso è la mia città, la amo e approfitterò di ogni momento disponibile per tornarci. Ho vissuto in tanti posti diversi e conosciuto centinaia di persone, ma non c’è una città così vivibile. Il suo punto di forza è, però, anche la sua più grande debolezza: Campobasso è una città immobile, chiusa in una bolla dove il tempo non passa, le abitudini non cambiano, le persone nemmeno. Non ci sono stimoli e opportunità, le attività chiudono, l’università è stata per anni una lobby, il lavoro è un’utopia. In definitiva, sembra un posto destinato ad implodere. Fino alla scorsa estate lavoravo a Roma; quando sono rientrato a Campobasso ho cercato lavoro, senza successo. Per fortuna questo progetto della Cina è nato poco dopo il mio rientro e non ho avuto tempo per piangermi addosso”

Com’è, invece, la tua vita adesso? Di cosa ti occupi? “Ho aperto una mia società in Cina, attraverso la quale si compirà il progetto di aprire un ristorante (è imminente, siete tutti invitati all’inaugurazione!); nel frattempo ho avuto diverse proposte di lavoro: in Cina è molto semplice insegnare inglese o italiano, a scuola o all’università, anche perchè il loro livello complessivo di conoscenza di queste lingue è molto basso, ma è comunissimo, per noi occidentali, essere chiamati anche per svolgere attività d’immagine, come modelli o semplici ragazzi immagine nei locali o nei ristoranti. Il lavoro, insomma, non manca”

Perché scegli proprio la Cina? “Ho pensato che, dovendo andar via dalla propria città, che siano cinquecento chilometri o ventimila, non fa differenza, ci si sentirà sempre, comunque spaesati. Tanto vale scegliere un posto dove l’economia è in crescita, l’occupazione ai massimi storici, lo sviluppo costante e, non ultimo, la concorrenza non è spietata. La comunità di italiani a Changsha è davvero risicata, e nessuno ha ancora aperto attività di questo tipo. In questo senso, siamo dei pionieri. Dalla mia, poi, ho avuto la fortuna di avere già qualcuno in loco che potesse farmi da Cicerone e insieme ci siamo potuti addentrare più agevolmente nelle fitte maglie della burocrazia cinese”  

Com’è la cultura e la mentalità orientale? “In una parola: differente. La Cina ha una storia, per certi versi, simile all’Italia: nasce come uno dei paesi più civilizzati del pianeta e, insieme al Giappone, per secoli è stato la culla di tutta la cultura orientale. Il novecento, tuttavia, è stato un secolo molto buio per questa nazione, decimata dalle guerre mondiali, dall’invasione giapponese e da una spaventosa carestia, che l’hanno messa in ginocchio e ridotta alla povertà. Le politiche rigide di Mao, in seguito, hanno posto le basi per una rinascita economica e culturale. Ecco perchè, nonostante vivano in una dittatura, i cinesi vedano di buon grado le politiche interne. Per noi stranieri non è semplice vivere alcune restrizioni, ma dobbiamo adattarci; la dittatura c’è e si sente. Non parliamo solo di siti internet oscurati o di mano pesante delle forze dell’ordine, anche la cultura ne risente molto: è difficile trovare cinesi in grado di parlare inglese, se non nelle nuove generazioni, e la comunicazione, spesso, è quanto meno ostica. Va ricordato, però, che la Cina è una sorta di continente con 33 provincie distinte, con lingue, dialetti, variazioni culinarie differenti. Non è affatto semplice governare un posto che conta un quinto della popolazione complessiva del pianeta riuscendo a non far scoppiare rivolte popolari ogni giorno. C’è, comunque, un luogo comune che vorrei sfatare assolutamente, quello del cinese lavoratore stakanovista. Non è affatto vero, anzi! I cinesi cercano tutte le scorciatoie possibili per fare meno fatica possibile, a volte, peccando marcatamente di superficialità. Va tuttavia detto che, per quanti sono, ogni lavoro che hanno necessità di svolgere, è sempre compiuto in brevissimi tempi”   

Secondo te cosa li distingue al punto tale che si stanno affermando come potenza economica? “Sicuramente ci sono almeno un paio di fattori fondamentali per lo sviluppo economico cinese. In primo luogo, la Cina crede nell’economia reale, vendendo merci in occidente in cambio di una quota di ricchezza vera e non di quote di debito che altri dovranno rimborsare; in secondo luogo si punta moltissimo sull’istruzione e, come in America, non tutti hanno accesso agli istituti migliori: studiare in Cina costa molto e lo Stato non spreca denaro investendo su studenti poco meritevoli o svogliati. Infine va segnalata la riduzione al minimo dei servizi sociali che incide non poco sulle spese generali”

 Quante possibilità hai lì di crescere rispetto a qui? “Non vorrei essere cinico, ma ne avessi solo una, sarebbe comunque più di quante ne ho trovate finora in Italia. Ci sono alcuni fattori che fanno comunque ben sperare, noi laureati stranieri siamo decisamente ben visti, non solo dai cinesi, ma soprattutto dallo Stato, che anela collaborazioni col resto del mondo”

Come vedono gli italiani? La premessa è che in Cina (ad esclusione di Shanghai e Pechino) non sono abituati a vedere spesso gli occidentali e si emozionano molto incontrandoli, al punto che è capitato anche che ti fermino per fotografarti o per brindare con te. Come anche in Giappone, in Cina adorano il Bel paese. I nostri marchi della moda,  la nostra cucina, le automobili di lusso e l’opera sono simboli fortissimi che trasmettono una marcata identità culturale in tutto il mondo. Molti cinesi studiano italiano per trasferirsi nel nostro Paese, soprattutto per via del canto lirico. In generale, insomma, c’è molto rispetto e affetto nei nostri confronti, un po’ l’opposto di quanto avviene in Italia nei confronti dei cinesi”

Cosa ti manca di Campobasso? “Più in generale, del mio mondo italiano mi manca la famiglia, prima di ogni altra cosa. Avere genitori non più giovanissimi significa che ogni raffreddore ti spaventa come un’epidemia e sapere di non poter accorrere è frustrante. Ovviamente gli amici, perchè c’è sempre il timore di intiepidire rapporti costruiti negli anni. Nello specifico, della mia città, ho sempre nostalgia della nostra cucina molisana, deliziosa; della tranquillità di una città non caotica, piena di verde; dell’aria così pulita e fresca; delle nevicate pazzesche di certi inverni!”

Quanta molisanità porti dietro con te? “Il nostro progetto è strettamente legato alla cucina molisana, vogliamo far conoscere questa cucina e stiamo cercando di contattare alcune aziende per portare prodotti tipici della nostra storia, come il tartufo o la ventricina. Direi che portiamo la molisanità come stemma araldico in oriente. Inoltre alcune forme di costume sono talmente radicate in noi che la domenica mattina è facile sorprenderci letteralmente con le mani in pasta, agghindando la più classica delle abbuffate molisane!”

Tra dieci anni come e dove ti immagini? “Il progetto è realizzarci con un lavoro che ci possa consentire di rientrare in Italia più spesso possibile, magari addirittura di riuscire a fare la spola tra il nostro Paese e la Cina attraverso una serie di iniziative tese a portare visibilità all’Italia. Il sogno, per me, è sempre stato viaggiare per il mondo; tra dieci anni spero di avere tempo e denaro per riuscire a vedere quanto di bello c’è fuori dalla propria casa. Se avremo le capacità di cavalcare l’onda del boom economico cinese non escludo che qualcuno possa parlare di noi in futuro come pionieri di una relazione intrigante tra culture diverse, come accadde con l’America per i nostri bisnonni. Di certo, per ora, si tratta di un’avventura che già mi sta portando a maturare molto”

Ai giovani che restano in regione che consiglio daresti? Informatevi, sempre, su tutto quanto riguarda la regione. La nostra realtà è piccola e non è così faticoso interessarsi alla cosa pubblica. Fatevi un’opinione sulle centrali a biomassa; partecipate alle manifestazioni culturali e agli incontri di sensibilizzazione; seguite con attenzione la politica locale; protestate quando ritenete opportuno; alimentate il turismo dei nostri bellissimi borghi; fate girare l’economia quanto possibile, magari anche mangiando nei nostri squisiti ristoranti, piuttosto che in blasonati (e velenosi) fast food; non chiudete un occhio davanti ai soprusi, anche se si tratta di esigere uno scontrino. La nostra terra non cambierà mai se continueremo a vivere per sopravvivere. Solo attraverso conoscenza e coscienza potremo risanare un posto in difficoltà come il nostro”.

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