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Cronache marziane / Molise e migranti, un viaggio tra luoghi comuni che parte dall’accoglienza (non comune) di una piccola, grande regione

barconeCRISTINA SALVATORE

Il Molise è la regione più accogliente d’Italia. Talmente accogliente che qualche negoziante permette a clienti frettolosi di sfondare la saracinesca del proprio locale per entrarci direttamente con l’auto.

Ironia a parte, in questo caso specifico il tema è quello dell’immigrazione e sul podio ci siamo saliti in base alla percentuale numerica, rispetto alla grandezza del territorio, di richiedenti asilo accolti. Addirittura la terra che non c’è ha dimostrato di essere una benedizione come il jolly per la Scala quaranta.

Il Ministero dell’Interno, d’intesa con le prefetture, all’occorrenza si ricorda molto bene dove si trova il Molise e ha voluto offrire a questo popolo l’opportunità di palesare quanto sia generoso ed empatico.

La mente torna ai fatti di Goro, quando gli abitanti del paesino emiliano hanno alzato barricate per impedire a donne e bambini stranieri di minare la tranquillità di una comunità intera.

In Molise iniziative come questa, guidate da piccoli gruppi facilmente influenzabili da politici che cavalcano l’onda della paura per fini elettorali, non hanno avuto luogo. Perché certa gente trova molto più comoda la protesta sui social, dal divano di casa, piuttosto che scendere dalle montagne per buttarsi in strada, trascinando bancali di legno al fine di innalzare muri di solidarietà unilaterale. E poi si chiedono perché alcuni migranti hanno un fisico tonico e muscoloso mentre il girovita di noi nativi è largo quanto l’immensità dei vuoti di conoscenza. Forse perché i più gracilini spesso non arrivano a sopportare le condizioni disumane di una traversata nel deserto e in gommone. O forse madre natura li ha fatti in maniera diversa. O forse questi popoli oppressi, nel loro Paese, erano costretti a lavorare duramente percorrendo ogni santo giorno chilometri a piedi tra un villaggio e l’altro. Invece noi che prendiamo la macchina pure per arrivare al bar sotto casa ancora ci stupiamo di come sia possibile essere i titolari di un deretano che, da solo, potrebbe ospitare l’intera equipe di Emergency.

“Eh ma dobbiamo pensare prima agli italiani”. Parole che ormai formano il vocabolario tascabile dei cittadini imbeccati a dovere, senza voglia di approfondire la questione. L’Italia fa parte di quei Paesi che hanno firmato delle convenzioni internazionali che obbligano a dare rifugio. Tu, Stato italiano, non scegli se accogliere o no chi ne ha diritto. Devi. Punto. Per tale motivo, chi promette il contrario, mente più del “ti lascio perché ti amo troppo”.

I famosi 35 euro – fondi che vengono tra l’altro stanziati principalmente dall’Unione Europea – non vanno al singolo richiedente asilo ma a chi lo accoglie nelle strutture, a chi ci lavora, a chi vende beni alimentari e ogni altra cosa acquistata per dare il minimo di ospitalità di cui necessita. Ai migranti  spettano 2,50 euro di “pocket money” , pure questi spesi  in buona  parte nel luogo in cui fanno la muffa aspettando di ricevere chiarimenti e documenti.

“Eh ma ci rubano il lavoro e i nostri figli sono costretti ad andare all’estero”. Ma certo, non ci va proprio giù che i nostri figli al posto di vendere rose a casa loro, accendini, calzette, stare davanti ai supermercati con il cappellino in mano, raccogliere l’uva, il grano, i pomodori nelle valli e ripulire le aiuole, siano costretti a cercare le stesse occupazioni all’estero. Dopo aver studiato una vita economia all’università, per capire quante 2,50 euro bisogna assemblare per potersi comprare un tablet in offerta, vanno a fare gli immigrati a casa degli altri? E “gli altri” devono pure accettarli nonostante il pericolo che possano infiltrarsi mafiosi, delinquenti o maniaci della pasta cotta al dente?

La disoccupazione mica è figlia dell’inerzia, dell’ignavia, dell’indolenza, della negligenza, della poltroneria e della lussuria di anni e anni di politiche egoiste, colluse e scellerate? No. Qualcuno ne è più che sicuro.

“Eh ma mica tutti scappano dalla guerra?”. No, in effetti questo è vero: ci sono anche quelli che scappano da regimi oppressivi, da violenze e povertà estrema. Da persecuzioni, fame, epidemie, sfruttamento, acque inquinate, discariche a cielo aperto, per esempio. E in realtà noi potremmo capirli benissimo se pensiamo che una scossa di terremoto che ha fatto dondolare il lampadario di casa c’ha indotti a scappare in strada in meno di un secondo. Abbiamo pensato a proteggere la nostra vita, e abbiamo fatto bene. E’ l’istinto di sopravvivenza che prevale.

“Eh ma vengono tutti in Italia”. Invece le statistiche ufficiali dicono il contrario. In tantissimi neanche sanno dove attraccherà (quando e se c’arriverà) il barcone della speranza, e solo il 6% sogna di raggiungere l’Europa. L’Italia spesso è una nazione di passaggio ma a causa delle pratiche burocratiche, dei controlli infiniti, del problema evidente (non certo facile da risolvere), questa gente è costretta a restare dove non vuole e dove sa di non essere voluta.  Come succede a noi quando dobbiamo trascorrere una festa comandata a casa dei suoceri. Quanto soffriamo? Identico.

E poi quando pensi di aver sentito ogni sorta di improperi verso chi subisce il malgoverno mondiale, arrivano le praline di filante saggezza del sindaco di Albettone (Vicenza), Joe Formaggio. E la situazione comincia a insaporirsi o inacidirsi a seconda della direzione intrapresa dalla coscienza individuale.  “Qui non vogliamo extracomunitari, negri e zingari” ha tuonato il Sig. Formaggio. “Abbiamo un poligono di tiro, il più alto numero di porto d’armi di tutta la regione Veneto e non vogliamo nessuno che venga a rompere. Da noi rischiano la pelle”.

Tralasciando il fatto ‘poco’ rilevante che il razzismo non è un’opinione ma un reato, che chi fomenta l’odio razziale è responsabile penalmente, qui si è andato un pochino oltre misura. Perché vede, caro sindaco Formaggio (e rivolgo il mio pensiero a tutte le qualità di Formaggio, fresco o stagionato che sia, esistenti in giro per il mondo), dichiarare di voler giustiziare gente che non ha nessuna colpa se non quella di essere nata in posti più sfigati di un paesino governato da un politico capace di giocare al tiro al bersaglio con i passanti, dimostra semplicemente che la pasta di cui è fatto non è minimamente paragonabile a quella  utilizzata per realizzare i nostri genuini caciocavalli molisani. E per quanto riguarda il modo di esprimersi, io al suo posto presterei particolare attenzione: per un Formaggio la forma è importante.

Redazione

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