La nota del vice-presidente della Giunta regionale del Molise, Michele Petraroia, sul centenario della Prima Guerra Mondiale

Michele Petraroia, vicepresidente della Giunta regionale del Molise
Michele Petraroia, vicepresidente della Giunta regionale del Molise

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DAL VICE-PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE DEL MOLISE, MICHELE PETRAROIA

L’art. 5 della Costituzione Italiana chiarisce l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, riconoscendo il valore delle autonomie locali e del decentramento amministrativo.

“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

Leggo con amarezza che quali rappresentanti istituzionali della Repubblica Italiana ritenete di non riconoscervi nelle iniziative ufficiali promosse dallo Stato Italiano per commemorare i 600 mila caduti della Prima Guerra Mondiale e riflettere in questa circostanza sul valore della pace come cardine di ogni società libera e democratica.

Resto convinto sul piano politico delle buone ragioni che il socialista Andrea Costa espose nel Parlamento del Regno d’Italia “né un Uomo e né un soldo per le guerre”, ma quale amministratore pro-tempore della Regione Molise, ho il dovere di partecipare a manifestazioni pubbliche indette dallo Stato Italiano per rispetto della Repubblica e della Costituzione che norma all’art. 11 il ripudio della guerra ed individua all’art. 12 nel tricolore la bandiera di tutti gli italiani.

Un contro è adoperarsi per la pace, schierarsi contro ogni conflitto e promuovere il dialogo come unico strumento per la risoluzione delle controversie tra gli Stati. Altra cosa è mettere in discussione la coesione nazionale sottraendosi alle proprie funzioni di rappresentante istituzionale di uno dei livelli di governo della nostra Repubblica.

In ognuno dei 136 borghi del Molise c’è un cippo che riporta i nomi dei caduti della Grande Guerra, oltre 5 mila, per lo più contadini che conoscevano solo il proprio dialetto, mandati a morire sul Monte Grappa o lungo la linea del Piave.

Tra di loro, c’era anche un giovane di Tufara (CB) Domenico Marino che lasciò orfani a 4 anni mia nonna e i suoi due fratelli.

Sono stato a trovarlo a Redipuglia e ritengo un dovere dello Stato ricordare in questo triste Centenario il sacrificio dei 600 mila caduti e di 1,5 milioni di feriti tra cui tanti invalidi permanenti.

Oggi ciascuno di noi ha il diritto di battersi per la pace, ma tenere la bandiera tricolore a mezz’asta a Trento e Bolzano, nelle sedi delle principali istituzioni locali, provoca smarrimento e delusione.

Se non ci si sente più parte di una comunità nazionale si facciano altre scelte e noi le rispetteremo, ma fino a quando l’Italia resta una e indivisibile, ci si attenga ai propri doveri di amministratori pubblici.

Lo si deve a quei 600 mila caduto che come Domenico Marino non tornarono più a casa e che oggi non possono essere ricordati con quella bandiera a mezz’asta.

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