Cronaca

Trent’anni fa l’uccisione del giornalista Giancarlo Siani. CBlive ripropone un articolo del giugno 2014: in un seminario a parlare del cronista del ‘Mattino’ fu il procuratore capo di Campobasso, Armando D’Alterio

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Giancarlo Siani

GIUSEPPE FORMATO

Ricorre oggi, mercoledì 23 settembre 2015, il trentesimo anniversario dell’uccisione del giovane giornalista del ‘Mattino’, Giancarlo Siani, su ordine del clan Nuvoletta.

Era una calda sera durante il passaggio tra l’estate e l’autunno, il ventiseienne Giancarlo Siani, napoletano del Vomero, fu raggiunto da una scarica di proiettili, sparati da due sicari, che lo attendevano sotto la propria abitazione.

Siani stava rientrando dal lavoro, dalla redazione del ‘Mattino’ di Napoli, che stava per assumerlo dopo anni trascorsi come corrispondente da Torre Annunziata. La cosiddetta gavetta, da cronista senza tutele, senza contratto. Prima della firma sul tanto atteso contratto, però, la scarica di proiettili che misero a tacere lo ‘scomodo’ Siani. Azzittito dalla camorra.

La redazione di CBlive, presente all’incontro che il 3 giugno 2014, il Procuratore Capo della Procura di Campobasso, Armando D’Alterio, tenne con i giornalisti, in un seminario organizzato dall’Ordine dei Giornalisti del Molise, al quale prese parte anche il Rettore dell’Unimol, Gianmaria Palmieri.

L’uomo di Stato partenopeo, in servizio nel capoluogo molisano dall’8 aprile 2009, in quell’occasione ripercorse l’ultimo anno di vita di Giancarlo Siani.

Il procuratore capo D'Alterio tra il giornalista Lupo e il Rettore Palmieri
Il procuratore capo D’Alterio tra il giornalista Lupo e il Rettore Palmieri

Toccò a D’Alterio, infatti, alcuni anni dopo l’uccisione, riaprire le indagini su quell’efferato delitto, riuscendo a trovare la strada giusta, smascherando mandanti ed esecutori materiali dell’assassinio, fornendo le prove per far condannare i criminali.

Siani per il noto quotidiano di Napoli, sin da giovanissimo, iniziò a occuparsi di cronaca nera e, quindi, di camorra, studiando e analizzando i rapporti e le gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano Torre Annunziata e le zone limitrofe.

Siani arrivò a svelare, nei suoi articoli, il legame tra politica e camorra, scoprendo una serie di connivenze che si erano create all’indomani del terremoto tra gli amministratori locali e il boss della zona, Valentino Gionta, ex pescivendolo ambulante, diventato il controllore del mercato della droga dell’area torrese.

Nell’arco di un anno, grazie alle sue inchieste, Siani fu stabilizzato da ‘Il Mattino’, nella posizione di corrispondente, ma il giornalista andò oltre e un articolo nel quale scrisse che il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Riina, e il clan Bardellino, volevano sbarazzarsi del boss Gionta, diventato nel frattempo potente, ma scomodo, condannò a morte il giornalista.

Dopo vari summit per decidere se eliminare Siani, a ferragosto del 1985, la camorra prese la decisione di uccidere il valoroso giornalista. Il 23 settembre 1985 Siani fu ammazzato intorno alle 20,50 sotto la propria abitazione al Vomero, visto che nel frattempo fu chiamato a lavorare per la redazione centrale del quotidiano. Per arrestare i responsabili ci vollero 12 anni e le testimonianze di tre pentiti.

Il 15 settembre 1997 la seconda sezione della Corte d’Assise di Napoli condannò all’ergastolo i mandanti dell’omicidio, i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, e Luigi Baccante, e gli esecutori materiali Ciro Cappuccio e Armando Del Core. Nella stessa sentenza apparve come mandante anche Valentino Gionta, poi scagionato dalla Cassazione per non aver commesso il fatto.

“Ho conosciuto per un anno, dal 1984 al 1985, il giornalista Giancarlo Siani – ha dichiarato alla platea di giornalisti il procuratore capo Armando D’Alterio –, vedendolo l’ultima volta il giorno prima della sua uccisione. Fu il primo rappresentante della stampa a cadere sotto i colpi della camorra. Per noi della magistratura fu un fatto tragico, ma anche previsto. C’era in atto, in quel periodo, una guerra camorristica. Giancarlo Siani non commise nessun errore ed era conscio della pericolosità dei Nuvoletta. Dopo la morte di Siani c’è stato un rafforzamento delle istituzioni contro la criminalità organizzata, ma anche un rafforzamento normativo. Il lavoro di Siani e di tutti coloro che si occupano di giudiziaria è importantissimo. Si dice che i magistrati parlano solo con atti giudiziari, così nella fase successiva interviene la stampa onesta, imparziale, a spiegarli. Siani non fu un intellettuale da scrivania, ruolo pur fondamentale, ma si fece esso stesso motore di inchieste. Spesso e volentieri era sul luogo del delitto e aveva un’importante caratteristica: spingeva con i suoi articoli ad approfondire le indagini. Inoltre, Siani è stato il primo a spingere le attività verso le indagini patrimoniali. Capì già trenta anni fa che occorreva scoprire gli intrecci economici e d’affari tra la criminalità organizzata e la politica”.

D’Alterio, particolarmente energico nel parlare di Siani, ha proseguito, su impulso del presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Antonio Lupo, e del Rettore dell’Università degli Studi del Molise, Gianmaria Palmieri: “Siani scrisse oltre trecento articoli, che noi abbiamo letto con particolare interesse, tanto che io ritengo che la sua perdita fu un enorme mancanza anche a livello intellettuale. Siani ha applicato alla lettera il principio che ‘occorre fare il proprio dovere costi quel che costi’. La stampa svolge un ruolo irrinunciabile, a volte addirittura superiore alla magistratura e delle forze dell’Ordine, la cui attività è di minore impulso se non è accompagnata da una forte opinione pubblica. Anche gli stessi giudici devono avvertire forte l’opinione pubblica, che vuol farla finita con l’illegalità. Il sacrificio di Siani – ha proseguito – è stato importantissimo in via generale e, per quel che mi concerne, mi spinse a occuparmi di criminalità organizzata”.

D’Alterio ha ribadito più volte che il giornalista deve, comunque, fare il proprio dovere fino in fondo e, nel parlare dei principi di libertà e uguaglianza, ha affermato: “I due capisaldi portati alle estreme conseguenze diventano un momento di disgregazione della società. Noi siamo chiamati a moderare questi principi. Cultura vuol dire informazione accompagnata da valori e questa è la missione del giornalista”.

Redazione

CBlive

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