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Storie di giovani / Nei giorni del maxi sbarco a Palermo con la divisa della Croce Rossa. Camillo racconta cosa c’è nelle valigie dei viaggiatori del mare

In alto, lo sbarco a Palermo; in basso, una scena di vita quotidiana
In alto, lo sbarco a Palermo; in basso, una scena di vita quotidiana

LUDOVICA COLANGELO

Camillo Barone, giovane studente di Campobasso, quando arriva all’università, alle spalle ha già un passato di volontariato e, così, quando dalla Luiss gli chiedono se nel luglio 2016 avesse voglia di cooperare con la Croce Rossa Italiana il giovane pensa subito “perché no?”.

Così, quel 7 luglio 2016 anche Camillo si trova a Palermo, insieme agli altri volontari del Comitato provinciale della Croce Rossa Italiana e di altre associazioni, per essere protagonisti di quello che passerà alle cronache locali e nazionali come il “maxi sbarco”.

1080 migranti approdano al porto di Palermo a bordo della nave norvegese Siem Pilot. In quel caldo giorno di luglio, la task force siciliana accoglierà donne, uomini e minori originari di Bangladesh, Costa d’Avorio, Gambia, Senegal, Mali e Somalia, che erano già stati soccorsi durante gli ultimi giorni nel Mediterraneo.

Una giornata indelebile quella del maxi sbarco nei ricordi del ventenne molisano. “È impossibile – dice – dimenticare ciò che ho visto, in quella calda mattina di luglio. Per cinque ore, ininterrotte, c’erano uomini, donne, bambini e famiglie che scendevano dalla nave. Camminavano molto lentamente, senza pronunciare una parola, non una lacrima, non un urlo di disperazione”.

Probabilmente le scene viste, dal giovane molisano, durante le prime ore del 7 luglio si rileveranno meno dolorose di quando il ragazzo apprenderà di dover separare, per ragioni organizzative, fratelli, amici, bambini di poco più di dieci anni che “da un giorno all’ altro, si ritrovano seminudi, in un torrido porto del Sud Italia, lontani dai genitori e dopo aver affrontato due notti di mare in tempesta”.

Le ore successive, all’insolito sbarco, sono caratterizzate da tanto lavoro e tanta fatica, ma altrettanta voglia di offrire aiuto a chi, senza alcuna colpa, si trova a vivere una vera e propria tragedia. “Abbiamo dovuto controllare lo stato di salute di ogni migrante e comprendere se, tra le persone, ci fossero minori.” Il giovane molisano ancora ricorda, infatti, di quanti fingevano di non essere maggiorenni. “Lo facevano – dice per ricevere un trattamento migliore o, probabilmente, maggior protezione”.

 I minorenni contanti furono 54 ed è così che Camillo non solo si trovò tra lo sbarco palermitano più numeroso di sempre, ma anche in una situazione di emergenza mai vissuta prima nella città siciliana.

“I centri di accoglienza per minori erano tutti stracolmi. La Croce Rossa, così, ebbe il compito di occuparsi dei  ragazzi, attendendo l’arrivo di una sistemazione stabile da parte della  Prefettura.”  Dopo tante ore, trascorse nel porto di Palermo, tra il sole, il caldo tipico della Sicilia e tanta stanchezza, accompagnata da pochi momenti di riposo, i volontari della Croce Rossa si preoccuperanno di sistemare i minorenni in delle tende.

“Una sistemazione stabie, però, arrivò praticamente subito”, ricorda Camillo, che di lì a poco trascorrerà due settimane a pochi passi dal suggestivo Duomo di Monreale, in una casa di riposo abbandonata.

“Giorni intesi, trascorsi tra le cure e la creazione delle prime basi per imparare l’ italiano. Nella Croce Rossa – continua il giovane molisano – quasi nessuno parlava inglese o francese e, allora, è toccato a me assistere e accompagnare i ragazzi nella loro prima  parentesi in Italia. Affiancavo, ogni giorno, le instancabili infermiere volontarie per somministrare ai ragazzi antibiotici, aerosol, tachipirine e gli estenuanti trattamenti anti-scabbia”.

Noi, – commenta Camillo – dalle notizie che riceviamo ogni giorno, non possiamo immaginare, nemmeno lontanamente, i problemi che i viaggiatori del mare e deserto portano in valigia”.

 Quelli vissuti in Sicilia saranno per il ventenne del capoluogo giorni  intesi, dedicati alla totale apertura verso il prossimo. “Ho ascoltato storie da brividi. Racconti di incarceramenti coatti in Libia e di abbandoni struggenti da parte delle loro famiglie in Gambia, Kenya e Senegal. Non sapevo nulla, non potevo immaginare e a volte non capivo. Come si può a soli 13 anni possedere la forza di raccontare di lavori forzati e abusi di ogni tipo, parlare d’inferno, inferno vero su questa terra?”

Camillo oltre alla sofferenza assiste, però, alla voglia dei giovani migranti di poter dire ancora una volta sì alla vita. “Impossibile dimenticare – racconta –  la loro voglia vorace di apprendere, di imparare l’alfabeto, i numeri, i primi verbi. Mi obbligavano a parlare in italiano per esercitare la pronuncia, li svegliavo la mattina e urlavano in coro a squarciagola ‘Buongiorno, oggi è domenica! Oggi è lunedì!’, oppure litigavano per chi dovesse sedersi in prima fila durante lezioni pomeridiane di italiano e geografia.”

“Chiedevano in continuazione – dice ancora – nuove penne e nuovi quaderni. Fame di studio e di impegno, fame di ricominciare con la vita da zero”.

Un filo che lega i ragazzi a Camillo non solo fatto di aiuto e lezioni scolastiche, ma anche, di affetto profondo in una storia di crescita reciproca.

“Da quando ho lasciato Palermo – racconta il volontario –  molti di loro mi scrivono ancora e, lo scorso mese di gennaio, sono tornato a salutarli. Ero molto sorpreso quando li ho sentiti parlare in un italiano fluente ma dolcemente maccheronico, imparato a passi veloci”.

Una ferita si apre nel cuore di Camillo quando ricorda delle ragazze ospitate al centro. “Di loro invece non ho più traccia. Sono scappate quasi tutte dal luogo che le ospitava. Presumo che, – riflette – siano finite nel vortice oscuro della prostituzione minorile. La condanna più crudele per le loro vite così giovani. In Nigeria, infatti, prima della partenza per l’Italia, viene detto loro che, nel Belpaese, saranno parrucchiere, estetiste, segretarie e perché no, mamme. L’Italia e tutto l’Occidente, però, spesso tradiscono queste speranze, non essendo all’altezza delle aspettative di chi ha perso tutto”.

Un’esperienza, inaspettata, che all’ improvviso è piombata nella vita di un giovane studente del capoluogo molisano, facendogli conoscere storie di dolore e violenze, così lontane eppure così vicine, capaci di lasciare segni e ricordi indelebili: fatti di fatica, lacrime, piccole gioie e legami indimenticabili.

Redazione

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