Città

Roma, le meditazioni della via Crucis scritte da Bregantini e lette da Virna Lisi

Giancarlo Maria Bregantini

La Via Crucis del Venerdì Santo si è svolta a Roma davanti quarantamila fedeli provenienti da tutto il mondo. La celebrazione, officiata per la seconda volta da Papa Francesco, è stata dedicata a tutte le crisi e, principalmente, a quella economica con le sue gravi conseguenze sociali, come la precarietà, la disoccupazione e i licenziamenti. E al volontariato, agli immigrati, alle donne vittime di violenza, ai carcerati. Le meditazioni, scritte per l’occasione dall’arcivescovo di Campobasso-Bojano, Mons. Giancarlo Maria Bregantini, si sono aperte e chiuse sul concetto del ‘peso’ della croce.

Papa Francesco nel suo intervento ha ricordato i malati: “Era una croce pesante come la notte delle persone abbandonate. Tuttavia davanti alla croce di Gesù tocchiamo con mano quanto siamo amati e ci sentiamo figli di Dio”.

La celebrazione del Venerdì Santo ha condotto nella Capitale almeno 800mila fedeli, 61 delegazioni straniere, 19 capi di stato, 24 primi ministri.

Il rito è stato seguito in diretta tv in mondovisione, trasmesso in circa 60 paesi. Il pubblico ha potuto assistere solo all’esterno del Colosseo e i testi delle meditazioni, preparati da monsignor Giancarlo Maria Bregantini, sono stati tradotti in sette lingue e letti dall’attrice Virna Lisi, che si è detta emozionata da un compito così importante.

Le meditazioni scritte da Sua Eccellenza Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano

INTRODUZIONE

«Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa di dire il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: “Non gli sarà spezzato alcun osso”. Ed un altro passo della Scrittura dice, ancora: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” » (Gv 19,35-37).

Amabile Gesù, salisti al Golgota senza esitare, compimento d’amore, e ti lasciasti crocifiggere senza lamenti. Umile Figlio di Maria, prendesti il carico della nostra notte per mostrarci di quanta luce volevi dilatarci il cuore. Nei tuoi dolori, è la nostra redenzione, nelle tue lacrime si dipinge “l’Ora” dello svelamento dell’Amore gratuito di Dio. Sette volte perdonati, nei tuoi ultimi sospiri di Uomo tra gli uomini, ci riporti tutti al cuore del Padre, per indicarci, nelle tue ultime parole, la via della redenzione per ogni nostro dolore. Tu, il Tutto Incarnato, ti annienti sulla Croce, compreso solamente da Colei, madre, che fedelmente “stava” sotto quel patibolo. La Tua sete è fonte di speranza sempre accesa, mano tesa anche per il malfattore pentito, che oggi, grazie a te, dolce Gesù, entra in paradiso. A tutti noi, Signore Gesù Crocifisso, concedi la tua infinita Misericordia, profumo di Betania sul mondo, gemito di vita per l’Umanità. E, finalmente abbandonati alle mani del Padre Tuo, aprici la porta della Vita che non muore! Amen.

I STAZIONE

Il dito puntato che accusa

Gesù è condannato a morte

«Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Ed egli, per la terza volta, disse loro: “Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Dunque lo punirò e poi lo rilascerò”. Ma essi insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato, allora, decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in carcere per rivolta e omicidio e che essi richiedevano e consegnò Gesù al loro volere » (Lc 23,21-25)

Un Pilato impaurito che non cerca la verità, il dito puntato di accusa ed il grido crescente della folla inferocita sono i primi passi del morire di Gesù. Innocente, come un agnello, il cui sangue salva il suo popolo crudele. Quel Gesù che è passato tra noi, sanando e benedicendo, ora viene condannato alla pena capitale. Nessuna parola di gratitudine dalla sua gente, che sceglie invece Barabba. Per Pilato, diventa un caso imbarazzante. Lo scarica alla folla e se ne lava le mani, tutto attaccato al suo potere. Lo consegna, perché sia crocifisso! Non vuole più sapere nulla di lui. Per lui, il caso è chiuso!

La condanna sbrigativa di Gesù raccoglie cosi le facili accuse, i giudizi superficiali tra la gente, le insinuazioni ed i preconcetti che chiudono il cuore e si fanno cultura razzista, di esclusione e di “scarto”, con le lettere anonime e le orribili calunnie. Accusati, si é subito sbattuti in prima pagina; scagionati, si finisce in ultima!

E noi? Sapremo avere una coscienza retta e responsabile, trasparente, che non volga mai le spalle all’innocente, ma si schieri, con coraggio, in difesa dei deboli, resistendo all’ingiustizia e difendendo ovunque la verità violata?

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PREGHIERA

Signore Gesù,

ci sono mani che sostengono

e ci sono mani che firmano ingiuste condanne.

Fa che, sostenuti dalla tua grazia, non scartiamo nessuno.

Difendici dalle calunnie e dalla menzogna.

Aiutaci a cercare sempre la verità,

per poi schierarci dalla parte dei deboli,

capaci di accompagnare il loro cammino,

E dona la tua luce a chi deve, per missione, giudicare in tribunale,

perché emettano sempre sentenze giuste e vere. Amen.

II STAZIONE

Il pesante legno della crisi

Gesù è caricato della croce

«Gesù portò i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue ferite siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime» (1 Pt 2,24-25).

Pesa quel legno della croce, perché su di esso Gesù porta i peccati di tutti noi. Barcolla sotto quel peso, troppo grande per un uomo solo (Gv 19,17) .

E’ anche il peso di tutte le ingiustizie che hanno prodotto la crisi economica, con le sue gravi conseguenze sociali: precarietà, disoccupazione, licenziamenti, un denaro che governa invece di servire, la speculazione finanziaria, i suicidi degli imprenditori, la corruzione e l’usura, con le aziende che lasciano il proprio paese.

Questa è la croce pesante del mondo del lavoro, l’ingiustizia posta sulle spalle dei lavoratori. Gesù la prende sulle sue e ci insegna a non vivere più nell’ingiustizia, ma capaci, con il suo aiuto, di creare ponti di solidarietà e di speranza, per non essere pecore erranti né smarrite in questa crisi.

Ritorniamo perciò al Cristo, Pastore e Custode delle nostre anime. Lottiamo insieme per il lavoro in reciprocità, vincendo la paura e l’isolamento, ricuperando la stima per la politica, che è uscire insieme dai problemi.

La croce, allora, si farà più leggera, se portata con Gesù e sollevata tutti insieme, perché “dalle sue ferite – fatte feritoie – siamo stati guariti”.

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PREGHIERA

Signore Gesù sempre più fitta è la nostra notte!

La povertà prende l’aspetto della miseria.

Non abbiamo pane da offrire ai figli e le nostre reti sono vuote.

Incerto il nostro futuro. Provvedi al lavoro che manca.

Suscita in noi l’ardore per la giustizia,

perché la vita che conduciamo non sia trascinata,

ma vissuta in dignità! Amen.

III STAZIONE

La fragilità che ci apre all’accoglienza

Gesù cade per la prima volta

«Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio ed umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui! » (Is 53,4-5).

E’ un Gesù fragile, umanissimo, quello che contempliamo con stupore in questa stazione di grande dolore. Ma è proprio questo suo cadere, nella polvere, che rivela ancora di più il suo immenso amore. E’ pressato dalla folla, stordito dalle grida dei soldati, bruciante per le piaghe della flagellazione, colmo di amarezza interiore per l’immensa ingratitudine umana. E cade. Cade per terra!

Ma in questa caduta, là nel fango, in questo cedere al peso e alla fatica, Gesù si fa ancora una volta Maestro di vita. Ci insegna ad accettare le nostre fragilità, a non scoraggiarci per i nostri fallimenti, a riconoscere con lealtà i nostri limiti: “C’é in me il desiderio del bene – dice san Paolo – ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18).

Con questa forza interiore che gli viene dal Padre, Gesù ci aiuta anche ad accogliere la fragilità degli altri; a non infierire su chi è caduto, a non essere indifferenti verso chi cade. E ci dà la forza di non chiudere la porta a chi bussa alle nostre case, chiedendo asilo, dignità e patria. Consapevoli della nostra fragilità, accoglieremo tra noi la fragilità degli immigrati, perché trovino sicurezza e speranza.

E’ infatti nell’acqua sporca del catino del Cenacolo, cioè nella nostra fragilità, che si specchia il vero volto del nostro Dio! Perciò: “ogni spirito che riconosce Gesù Cristo, venuto nella carne, è da Dio” (1 Gv 4,2).

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PREGHIERA

Signore Gesù,

che ti sei fatto umile per riscattare le nostre fragilità ,

rendici capaci di entrare in vera comunione

con i nostri fratelli più poveri.

Strappaci dal cuore ogni radice di paura e di comoda indifferenza,

che ci impedisce di riconoscerti nei migranti,

per testimoniare che la tua Chiesa è senza frontiere, vera madre di tutti! Amen.

IV STAZIONE

Le lacrime solidali

Gesù incontra sua madre

«Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l’anima” >> (Lc 2,34-35). <<Piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti, gli uni verso gli altri» (Rm 12,15-16).

E’ carico di emozione e di lacrime struggenti questo incontro di Gesù con la sua mamma Maria. Vi è espressa l’invincibile forza dell’amore materno che supera ogni ostacolo e sa aprire ogni strada. Ma ancora più vivo è lo sguardo solidale di Maria, che condivide e dona forza al Figlio. Si riempie così di stupore il nostro cuore, nel contemplare la grandezza di Maria, in quel suo farsi, proprio lei creatura, “prossima” con il suo Dio e per il suo Signore.

Raccoglie tutte le lacrime di ogni mamma per i figli lontani, per i giovani condannati a morte, trucidati o partiti per la guerra, specie i bambini-soldato. Vi sentiamo il lamento straziante delle madri, per i loro figli, morenti a causa dei tumori prodotti dagli incendi del rifiuti tossici.

Lacrime amarissime! Solidale condivisione dello strazio dei figli! Mamme vigilanti nella notte con le lampade accese, trepidanti per i giovani travolti dalla precarietà o inghiottiti dalla droga e dall’alcol, specie il sabato notte!

Attorno a Maria, non saremo mai un popolo orfano! Mai dimenticati. Come a san Juan Diego, Maria offre anche a noi la carezza della sua consolazione materna e ci dice: “Non si turbi il vostro cuore … non ci sono qui io, che sono tua Madre?” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 286).

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PREGHIERA

Ave Madre mia,

dammi la tua santa benedizione.

Benedici me e tutta la mia casa.

Degnati di offrire a Dio quanto oggi ho da fare e patire,

in unione dei meriti tuoi e del tuo santissimo Figlio.

Ti offro e dedico tutto me stesso e tutte le cose mie al tuo servizio,

ponendomi tutto sotto il tuo manto.

Impetrami, Signora mia, purità di mente e di corpo

e fà che, in questo giorno,

non faccia cosa che dispiaccia a Dio.

Te lo chiedo per la tua immacolata Concezione

e la tua illibata verginità. Amen.

(San Gaspare Bertoni)

V STAZIONE

La mano amica che solleva

Gesù è aiutato da Simone di Cirene a portare la Croce

«Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo» (Mc 15,21).

Per caso, passa Simone di Cirene. Ma diventa un incontro decisivo nella sua vita. Tornava dai campi. Uomo di fatica e di vigore. Per questo è stato costretto a portare la croce di Gesù, condannato a una morte infame (cfr Fil 2,8).

Ma da casuale, quell’incontro si trasformerà in una sequela decisiva e vitale dietro a Gesù, portando ogni giorno la sua croce, rinnegando se stesso (cfr Mt 16,24-25). Simone, infatti, è ricordato da Marco come il padre di due cristiani conosciuti nella comunità di Roma: Alessandro e Rufo. Un padre che ha di certo impresso nel cuore dei figli la forza della croce di Gesù. Perché la vita, se te la tieni troppo stretta, ammuffisce e si secca. Ma se la offri, fiorisce e si fa spiga di grano, per te e per tutta la comunità!

Qui sta la vera guarigione dal nostro egoismo, sempre in agguato. La relazione con gli altri ci risana e genera una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere, aggrappandosi all’amore di Dio. Solo aprendo il cuore all’amore divino, sono spinto a cercare la felicità degli altri nei tanti gesti del volontariato: una notte in ospedale, un prestito senza usura, una lacrima asciugata in famiglia, la gratuità sincera, l’impegno lungimirante del bene comune, la condivisione del pane e del lavoro, vincendo ogni forma di gelosia e di invidia.

E’ Gesù stesso che ce lo ricorda:“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me!” (Mt 25,40).

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PREGHIERA

Signore Gesù,

nell’amico Cireneo vibra il cuore della tua Chiesa,

che si fa tetto di amore per quanti hanno sete di te.

L’aiuto fraterno è la chiave per varcare, insieme, la porta della Vita.

Non permettere che il nostro egoismo ci faccia passare oltre,

ma aiutaci a versare l’olio della consolazione sulle altrui ferite,

per farci leali compagni di strada,

senza fughe e senza mai stancarci di scegliere la fraternità. Amen.

VI STAZIONE

La tenerezza femminile

Gesù asciugato dalla Veronica

«Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezz » (Sal 27,8-9).

Gesù si trascina a stento, ansimando, solo. Ma la luce sul suo volto resta intatta. Non c’è offesa che possa opporsi alla sua bellezza. Gli sputi non l’hanno oscurata. Gli schiaffi non sono riusciti a spegnerla. Quel volto appare come un roveto ardente che, più viene oltraggiato, più riesce ad emanare una luce di salvezza. Scendono lacrime silenziose dagli occhi del Maestro. Porta il peso dell’abbandono. Eppure, Gesù avanza, non si ferma, non torna indietro. Affronta l’oppressione. E’ turbato dalla crudeltà, ma Lui sa che il suo morire non sarà vano!

Gesù allora si ferma di fronte ad una donna che gli viene incontro senza nessuna esitazione. E’ la Veronica, vera immagine femminile della tenerezza!

Il Signore qui incarna il nostro bisogno di gratuità amorevole, di sentirci amati e protetti da gesti di premura e di cura. Le carezze di questa creatura si bagnano del sangue prezioso di Gesù e sembrano togliere via gli atti di profanazione che ha ricevuto in quelle ore di torture. La Veronica riesce a toccare il dolce Gesù, a sfiorarne il candore. Non solo per alleviare ma per partecipare al suo soffrire. In Gesù, riconosce ogni prossimo da consolare, con tocco di tenerezza, per giungere al gemito di dolore di quanti oggi non ricevono assistenza né calore di compassione. E muoiono di solitudine.

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PREGHIERA

Signore Gesù,

come pesa il distacco da chi pensavamo

ci stesse accanto nei giorni della desolazione!

Ma tu, avvolgici con quel panno

che porta impresso il sangue tuo prezioso,

che hai versato lungo la via dell’abbandono,

che anche tu patisti ingiustamente.

Senza di Te,non abbiamo

né possiamo dare alcun sollievo. Amen.

VII STAZIONE

L’angoscia del carcere e della tortura

Gesù cade la seconda volta

«Mi hanno accerchiato … Mi hanno circondato come api, come fuoco che divampa tra i rovi, ma nel nome del Signore le ho distrutte. Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto. Il Signore mi ha castigato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte» (Sal 117,11.12-13.18 ).

Veramente in Gesù si compiono le antiche profezie del Servo umile e obbediente, che prende sulle sue spalle tutta la nostra storia di dolore. E così Gesù, spinto avanti a forza, si accascia, sotto la fatica e l’oppressione, accerchiato, circondato dalla violenza, privo ormai di forze. Sempre più solo, sempre più nelle tenebre! Lacerato nella carne, fiaccato nelle ossa.

Riconosciamo in Lui l’amara esperienza dei detenuti di ogni carcere, con tutte le sue disumane contraddizioni. Circondati e accerchiati, “spinti con forza per cadere”. Il carcere, oggi, è ancora troppo tenuto lontano, dimenticato, ripudiato dalla società civile. Ci sono le assurdità della burocrazia, i suicidi frequenti, le lentezze della giustizia. Doppia pena è poi il sovraffollamento: è un dolore aggravato, un’ingiusta oppressione, che consuma la carne e le ossa. E anche quando un nostro fratello esce, lo consideriamo ancora un “ex-detenuto”, chiudendogli così le porte del riscatto sociale e lavorativo.

Ma più grave è la pratica della tortura, purtroppo ancora diffusa in varie parti della terra, in molteplici modi. Come è stato per Gesù: anche Lui percosso, umiliato dalla soldataglia, torturato con la corona di spine, flagellato con crudeltà.

Come sentiamo vera, oggi, davanti a questa caduta, la parola di Gesù: “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”. In ogni carcere, accanto ad ogni torturato, c’è sempre Lui, il Cristo sofferente, carcerato e torturato. Anche se provati duramente, è Lui il nostro aiuto, per non essere consegnati alla paura. Ci si rialza solo insieme, accompagnati da validi operatori, sostenuti dalla mano fraterna dei volontari e sollevati da una società civile, che fa sue le tante ingiustizie dentro le mura di un carcere.

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PREGHIERA

Signore Gesù,

una commozione senza confini mi afferra

nel vederti cadere a terra per me.

Nessun merito, una moltitudine di peccato, di incongruenze, di debolezze.

Quale Amore di predilezione in risposta!

Fuori della società, uccisi dal giudizio,

tu ci hai per sempre benedetti.

Beati noi se oggi siamo qui, a terra, con Te, riscattati dalla condanna.

Concedici di non fuggire dalle nostre responsabilità,

donaci di abitare nella tua umiliazione al sicuro da ogni pretesa di onnipotenza

per rinascere a vita nuova come creature fatte per il Cielo. Amen.

VIII STAZIONE

Condivisione e non commiserazione

Gesù incontra le donne di Gerusalemme

«Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli» (Lc 23,27).

Come fiaccole accese si presentano le figure femminili lungo la via del dolore. Donne di fedeltà e di coraggio, che non si lasciano intimorire dalle guardie né scandalizzare dalle piaghe del Buon Maestro. Sono pronte a incontrarlo e a consolarlo. Gesù è lì davanti a loro. C’è chi lo calpesta mentre si accascia a terra sfinito. Ma le donne sono lì, pronte a donargli quel palpito caldo che il cuore non può più frenare. Esse lo guardano prima da lontano, ma poi si fanno vicine, come fa ogni amico, ogni fratello o sorella, quando si accorge della difficoltà che vive la persona amata.

Gesù è scosso dal loro pianto amaro, ma le esorta a non consumare il cuore nel vederlo martoriato, per essere donne non più piangenti, ma credenti! Chiede un dolore condiviso e non una commiserazione sterile e piagnucolosa. Non più lamenti ma voglia di rinascere, di guardare avanti, di procedere con fede e speranza verso quell’aurora di luce che sorgerà ancora più accecante sul capo di quanti camminano rivolti a Dio. Piangiamo su noi stessi se ancora non crediamo in quel Gesù che ci ha annunciato il Regno della salvezza. Piangiamo sui nostri peccati non confessati.

E ancora, piangiamo su quegli uomini che scaricano sulle donne la violenza che hanno dentro. Piangiamo sulle donne schiavizzate dalla paura e dallo sfruttamento. Ma non basta battersi il petto e provare compassione. Gesù è più esigente. Le donne vanno rassicurate come fece Lui, vanno amate come un dono inviolabile per tutta l’umanità. Per la crescita dei nostri figli, in dignità e speranza.

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PREGHIERA

Signore Gesù, ferma la mano di chi percuote le donne! Solleva il loro cuore dall’abisso della disperazione quando diventano preda di violenza. Visita il loro pianto quando si trovano sole. Ed apri il nostro cuore alla condivisione di ogni dolore, in sincerità e fedeltà, oltre la naturale compassione, per renderci strumenti di vera liberazione. Amen.

IX STAZIONE

Vincere la cattiva nostalgia

Gesù cade per la terza volta

« Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, per virtù di colui che ci ha amati! » (Rm 8,35-37).

San Paolo elenca le sue prove, ma sa che prima di lui ci è passato Gesù, il quale sulla via del Golgota cadde una, due, tre volte. Distrutto dalle tribolazioni, dalla persecuzione, dalla spada, oppresso dal legno della croce. Stremato! Sembra dire, come noi, in tanti momenti bui: Non ce la faccio più!

E’ il grido dei perseguitati, dei morenti, dei malati terminali, degli oppressi sotto il giogo.

Ma in Gesù, è anche visibile la sua forza: “Se affligge, avrà ancora pietà”. Ci indica che c’è sempre, nell’afflizione, la sua consolazione, un “oltre” da intravedere nella speranza. Come la potatura sugli alberi che il Padre celeste, con sapienza, fa proprio sui tralci che producono frutto (cfr Gv 15,8). Mai per la stroncatura, ma sempre per la rifioritura. Come una madre quando giunge la sua ora: è afflitta, geme, soffre nel parto. Ma sa che sono le doglie della vita nuova, della primavera in fiore, proprio per quella potatura.

Ci aiuti la contemplazione di Gesù accasciato, ma capace di alzarsi, a saper vincere le chiusure che la paura del domani imprime nel nostro cuore, specie in questo tempo di crisi. Superiamo la cattiva nostalgia del passato, la comodità dell’immobilismo, del si è sempre fatto così! Quel Gesù che barcolla e cade, ma poi si rialza, è la certezza di una speranza, che, alimentata dalla preghiera intensa, nasce proprio dentro la prova e non dopo la prova né senza la prova!

Saremo più che vincitori, per virtù del suo amore!

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PREGHIERA

Signore Gesù,

solleva, ti preghiamo, dalla polvere il misero,

rialza i poveri dalle immondizie, falli sedere con i capi del popolo

ed assegna loro un seggio di gloria.

Spezza l’arco dei forti e rivesti di vigore i deboli,

poiché solo tu ci fai ricchi proprio con la tua povertà. Amen.

X STAZIONE

L’unità e la dignità

Gesù è spogliato delle sue vesti

«I soldati, poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero i suoi vestiti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “non stracciamola, ma tiriamola a sorte a chi tocca”. Così si compiva la Scrittura: Si sono spartiti tra loro i miei vestiti e sulla mia tunica hanno tirato la sorte. Ed i soldati fecero così! » (Gv 19,23-24).

Neanche un pezzetto di stoffa lasciarono che coprisse il corpo di Gesù. Lo denudarono. Non aveva mantello né tunica, non veste alcuna. Lo denudarono come atto di estrema umiliazione. Ciò che lo copriva era solo il sangue, che usciva a fiotti dalle sue vaste ferite.

La tunica resta intatta, simbolo dell’unità della Chiesa, un’unità da ritrovare in un cammino paziente, in una pace artigianale, costruita ogni giorno, in un tessuto ricomposto con i fili d’oro della fraternità, nella riconciliazione e nel perdono reciproco.

In Gesù, innocente, denudato e torturato, riconosciamo la dignità violata di tutti gli innocenti, specialmente dei piccoli. Dio non ha impedito che il suo corpo, spogliato, fosse esposto sulla croce. Lo ha fatto per riscattare ogni abuso, ingiustamente coperto e dimostrare che Lui, Dio, è irrevocabilmente e senza mezzi termini dalla parte delle vittime.

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PREGHIERA

Signore Gesù, vogliamo tornare ad essere innocenti come bambini, per poter entrare nel regno dei cieli, purificati dalle nostre sozzure e dai nostri idoli. Togli dal nostro petto il cuore di pietra delle divisioni, che rendono poco credibile la tua Chiesa. Donaci un cuore nuovo ed uno spirito nuovo, per vivere secondo i tuoi precetti ed osservare e mettere in pratica le tue leggi. Amen.

XI STAZIONE

Al letto degli ammalati

Gesù è crocifisso

«Poi lo crocifissero e si spartirono i suo vestiti, tirando a sorte su di essi ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino, quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei!”. Con lui crocifissero anche due banditi, uno a destra ed uno alla sua sinistra. E si compì la Scrittura che dice: “E’ stato messo tra i malfattori!” » (Mc 15,24-28).

E lo crocifissero! La pena degli infami, dei traditori, degli schiavi ribelli. Questa è la condanna riservata al nostro Signore Gesù: ruvidi chiodi, dolore lancinante, lo strazio della madre, la vergogna di essere accomunato a due banditi, le vesti spartite come bottino tra i soldati, le beffe crudeli dei passanti: “Ha salvato gli altri, e non può salvare se stesso! Scenda dalla croce e crederemo in lui!”(Mt 27,42)

E lo crocifissero! Gesù non scende, non abbandona la croce. Resta, obbediente fino in fondo alla volontà del Padre. Ama e perdona.

Anche oggi, come Gesù, molti nostri fratelli e sorelle sono inchiodati ad un letto di dolore, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle nostre famiglie. E’ il tempo della prova, in amari giorni di solitudine e anche di disperazione: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46).

La nostra mano non sia mai per trafiggere, ma sempre per avvicinare, consolare ed accompagnare gli infermi, rialzandoli dal loro letto di dolore. La malattia non chiede permesso. Giunge sempre inattesa. A volte sconvolge, limita gli orizzonti, mette a dura prova la speranza. Amaro è il suo fiele. Solo se troviamo, accanto a noi, qualcuno che ci ascolta, ci sta vicino, si siede sul nostro letto … allora la malattia può diventare una grande scuola di sapienza, incontro col Dio Paziente. Quando qualcuno prende su di sé le nostre infermità, per amore, anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale del Cristo crocifisso e risorto. Quella che umanamente è una condanna, può trasformarsi in un’oblazione redentrice, per il bene delle nostre comunità e famiglie. Sull’esempio dei santi.

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PREGHIERA

Signore Gesù, non stare lontano da me, siediti sul mio letto di dolore e fammi compagnia. Non mi lasciare solo, stendi la tua mano e sollevami! Io credo che Tu sei l’Amore, e credo che la tua volontà è l’espressione del tuo Amore; perciò mi affido alla tua volontà, perché mi affido al tuo Amore. Amen.

XII STAZIONE

Il gemito delle sette parole

Gesù muore in croce

«Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto: posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima ad una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse. “E’ compiuto!”. E chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,28-30).

Le sette parole di Gesù sulla croce sono un capolavoro di speranza. Gesù, lentamente, con passi che sono anche i nostri, attraversa tutto il buio della notte, per abbandonarsi, fiducioso, nelle braccia del Padre. E’ il gemito dei morenti, il grido dei disperati, l’invocazione dei perdenti. E’ Gesù!

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). E’ il grido di Giobbe, di ogni uomo colpito dalla sventura. E Dio tace. Tace perché la sua risposta è lì, sulla croce: è Lui, Gesù, la risposta di Dio, Parola eterna incarnata per amore.

«Ricordati di me …» (Lc 23,42). L’invocazione fraterna del malfattore, fatto compagno di dolore, penetra nel cuore di Gesù, che vi sente l’eco del suo stesso dolore. E Gesù ascolta quella supplica: «Oggi con me sarai nel paradiso». Sempre ci redime il dolore dell’altro, perché ci fa uscire da noi stessi.

«Donna, ecco tuo figlio!…» (Gv 19,26). Ma è la sua Madre, Maria, che con Giovanni stava sotto la croce, a spezzare la paura. La riempie di tenerezza e di speranza. Gesù non si sente più solo. Come per noi, se accanto al letto del dolore c’è chi ci ama! Fedelmente. Fino in fondo.

«Ho sete» (Gv 19,28). Come il bambino chiede da bere alla mamma; come il malato riarso dalla febbre … Quella di Gesù è la sete di tutti gli assetati di vita, di libertà, di giustizia. Ed è la sete del più grande assetato, Dio, che, infinitamente più di noi, ha sete della nostra salvezza.

«E’ compiuto!» (Gv 19,30). Tutto: ogni parola, ogni gesto, ogni profezia, ogni attimo della vita di Gesù. L’arazzo è completato. I mille colori dell’amore ora rilucono in bellezza. Nulla è andato sprecato. Nulla gettato via!. Tutto è diventato amore. Tutto consumato per me e per te! E allora, anche il morire ha un senso!

E c’è il perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Ora, eroicamente, Gesù esce dalla paura della morte. Perché se viviamo nell’amore gratuito, tutto è vita. Il perdono rinnova, risana, trasforma e consola! Crea un popolo nuovo. Ferma le guerre.

E infine, l’affidamento: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Non più la disperazione del nulla. Ma fiducia piena nelle sue mani di Padre, l’adagiarsi nel suo cuore. Perché “in Dio, ogni frazione si compone, finalmente, in unità”!

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PREGHIERA

O Dio, che nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberato dalla morte, eredità dell’antico peccato, trasmessa a tutto il genere umano, rinnovaci ad immagine del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la nostra nascita, l’immagine dell’uomo terreno, così per l’azione dello tuo Spirito fà che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Per Cristo nostro Signore. Amen.

XIII STAZIONE

L’amore è più forte della morte

Gesù deposto dalla croce

«Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato» (Mt 27,57-58).

Prima di essere sepolto nella tomba, Gesù viene consegnato finalmente a sua Madre. E’ l’icona di un cuore strappato che ci dice che la morte non impedisce l’ultimo bacio della madre al figlio suo. Prostrata sul corpo di Gesù, Maria s’incatena in un abbraccio totale a Lui. Questa icona è chiamata semplicemente “Pietà”. E’ straziante, ma mostra che la morte non spezza l’amore. Perché l’amore è più forte della morte! L’amore puro è quello duraturo. La sera è giunta. La battaglia è vinta. Ma l’amore non è stato spezzato. Chi è pronto a sacrificare la sua vita per Cristo, la ritroverà. Trasfigurata, oltre la morte.

Lacrime e sangue sono mescolate in questa tragica consegna. Come la vita nelle nostre famiglie, che, a tratti, è travolta da perdite improvvise e dolorose, con un vuoto incolmabile, specie nella morte di un figlio.

Pietà allora significa farsi prossimi dei fratelli che sono nel lutto e non si danno pace. E’ carità grande prendersi cura di chi sta soffrendo nel corpo piagato, nella mente depressa, nell’animo disperato. Amare fino alla fine è l’insegnamento supremo lasciatoci da Gesù e da Maria. E’ la quotidiana fraterna missione di consolazione, che ci viene consegnata in questo fedele abbraccio tra il Gesù morto e la sua Madre Addolorata.

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PREGHIERA

O Vergine Addolorata, tu nei nostri santuari ci mostri il tuo volto di luce, mentre con gli occhi al cielo e le mani aperte offri al Padre, in segno di offerta sacerdotale, la vittima redentrice del tuo Figlio Gesù. Rivelaci la dolcezza dell’ultimo fedele abbraccio e donaci la tua materna consolazione, perché il dolore quotidiano mai interrompa la speranza della vita oltre la morte. Amen.

XIV STAZIONE

Il giardino nuovo

Gesù è posto nel sepolcro

«Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino vi era un sepolcro nuovo, in cui nessuno era stato ancora deposto. Là deposero Gesù» (Gv 19,41-42).

Quel giardino in cui si trova la tomba, dove viene sepolto Gesù, ricorda un altro giardino: quello dell’Eden. Un giardino che a causa della disobbedienza perse la sua bellezza e divenne desolazione, luogo di morte e non più di vita.

I rami selvatici che ci impediscono di respirare la volontà di Dio, come l’attaccamento al denaro, alla superbia, allo spreco della vita, vanno tagliati e innestati ora al legno della Croce. E’ questo il nuovo giardino: la croce impiantata nella terra!

Da lassù, Gesù potrà ormai riportare tutto alla vita. Una volta ritornato dagli abissi infernali, dove Satana ha rinchiuso un gran numero di anime, avrà inizio il rinnovamento di tutte le cose. Quel sepolcro rappresenta la fine dell’uomo vecchio. E come per Gesù, anche per noi Dio ha permesso che i figli di Dio non fossero castigati dalla morte definitiva. In quella morte decadono tutti i troni del male, basati sull’avidità e la durezza del cuore.

La morte ci disarma, ci fa capire che siamo esposti ad un’esistenza terrena che ha un termine. Ma è davanti a quel corpo di Gesù, deposto nel sepolcro, che prendiamo coscienza di chi siamo. Creature che, per non morire, hanno bisogno del loro Creatore.

Ma il silenzio che avvolge quel giardino ci permette di ascoltare il sussurro di una brezza leggera: “Io sono il Vivente e sono con voi” (Es 3,14). Il velo del tempio è squarciato. Finalmente vediamo il volto del nostro Signore. E conosciamo in pienezza il suo nome: misericordia e fedeltà, per non restare mai confusi, nemmeno davanti alla morte, perché “il Figlio di Dio fu libero in mezzo ai morti” (cfr Sal 87,6).

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PREGHIERA

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Tu sei la mia parte di eredità e mio calice, nelle tue mani è la mia vita. Ti pongo sempre davanti a me, come mio Signore, stai alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo, gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima, anche il mio corpo riposa al sicuro. Non abbandoni la mia vita negli inferi né lasci che il tuo servo veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fina alla tua destra. Amen. (Salmo 15)

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