CB e dintorni

Storie di giovani / Parla Deborah Ciccone, volontaria del centro di accoglienza profughi di Macchiagodena: “Cosa significa operare per l’integrazione di chi è soltanto in cerca di dignità”

macchiagodena
I migranti del centro di accoglienza di Macchiagodena

ANDREA VERTOLO

Macchiagodena, come altri comuni del territorio molisano, ha ospitato gli uomini e le donne provenienti dal continente africano. Un piccolo  paese in cui l’integrazione di quest’ultimi passa anche dalle mani di chi, con la propria forza di volontà, cerca ogni giorno di rendere possibile questa difficile operazione sociale. Nel centro di accoglienza di Macchiagodena, che ospita gli stranieri smistati dalla Sicilia in tutta Italia, ci sono infatti molte persone che lavorano ogni giorno al fianco dei migranti, di cui spesso conoscono desideri e ambizioni, ma anche il dolore che ognuno  ha dentro. Tra queste vi è anche la giovanissima Deborah, volontaria della struttura, alla quale abbiamo chiesto di raccontarci i progetti, le difficoltà e le speranze di queste persone.

Come è stato accolto dalla comunità di Macchiagodena questo progetto?

“Mi sembra doveroso premettere che quella di ‘Mare Nostrum’ prima, e ‘Frontex’ dopo, è una missione particolarmente ambiziosa e complessa. Caratterizzata da due fasi. Alla prima, quella relativa all’accoglienza degli immigrati, Macchiagodena ha risposto in modo assolutamente positivo. Sin dal primo momento c’è stata una vera e propria corsa alla solidarietà, tanto è stato l’entusiasmo da parte delle famiglie e delle associazioni presenti sul territorio. La seconda fase invece, quella relativa all’integrazione, è stata invece l’anello debole della missione. Ovvero l’assenza di un reale progetto da parte di Prefettura, Questura e Regione Molise, in qualche modo ha generato disagi che si sono ripercossi sugli immigrati prima e sulla popolazione poi. Ostacolando così una vera integrazione dei profughi con la comunità che li ha ospitati”.

Molto bella la foto postata su Facebook che ritrae i ragazzi in tenuta sportiva. Secondo te il calcio può fare da collante all’integrazione?

“Penso, non solo che lo sport sia un collante, ma che sia addirittura fondamentale per promuovere l’integrazione tra diverse culture.
Nello sport si giudicano i giocatori per il loro modo di giocare, quindi resta un ambito nel quale si apprezzano le persone per quello che fanno e non per quello che sono. In campo, infatti, non è importante la provenienza, la religione o il colore della pelle. Per essere un bravo sportivo bisogna prima di tutto rispettare delle regole uguali per tutti. Un po’ come ciò che dovrebbe essere la società, ma che per ora riguarda solo il mondo dello sport”.

Ogni giorno ascolti le storie dei migranti, avverti le loro paure. Quali sono le loro speranze e le loro ambizioni?

“Nel corso della mia esperienza da volontaria ho avuto modo di relazionarmi con loro. Ho potuto toccare con mano le loro paure, le loro esigenze e le loro difficoltà. Ho letto sui loro volti sia l’ euforia per essere sopravvissuti ai viaggi a prova di morte, sia la tristezza e la confusione di chi, nella propria terra lascia situazioni difficili, talvolta anche quella di chi in mare ha perso un familiare. Ho ascoltato le loro storie di violenza e povertà, ma anche parlato a lungo delle loro ambizioni e dei loro progetti di vita. I loro discorsi sono sempre riconducibili a un forte bisogno di riscatto, all’estremo bisogno di trovare punti fermi, e soprattutto essere parte attiva di un vero processo integrazione per tornare a vivere e, farlo finalmente in modo dignitoso”.

Articoli Correlati

Lascia un commento

Back to top button