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Il Campobasso ritrova l’amore e l’affetto dei suoi tifosi, nonostante la stagione sia terminata con una sconfitta nella finale dei playoff

L'applauso dei tifosi del Campobasso ai calciatori rossoblù
L’applauso dei tifosi del Campobasso ai calciatori rossoblù

ANDREA VERTOLO

Nel calcio, le finali hanno sempre da raccontare stati d’animo opposti, da una parte ci sarà sempre una grande festa, dall’altra, inevitabile, ci sarà la delusione. Di solito, quando si è di fronte ad una finale persa, si ha voglia di dimenticare, di girare pagina, di metterci quella pesante pietra sopra. Non è così questa volta, non è così per questo Campobasso, che la pagina di storia al ‘Mancini’ di Fano l’ha scritta eccome, e nessuno ha intenzione di dimenticarla.

Domenica 22 maggio 2016, la sveglia mattutina è suonata in più parti d’Italia. In ogni stanza, da Milano a Bologna, passando per Firenze e Roma, fino a Campobasso, un tifoso del lupo si è alzato dal letto, ha stretto addosso la sciarpetta rossoblù e si è preparato per il viaggio. Ci sono tutti a Fano, ci sono quelli che, anche a Montegranaro, anche a Castelfidardo, anche a Recanati, insomma, quelli che ci sono sempre, nonostante tutto. Ci sono quelli che l’esodo non se lo perdono mai e quelli che hanno perso un’ora tra armadi e cassetti, solo per ritrovare la sciarpetta lasciata lì un giorno, e rimasta nell’ombra.

La finale che si gioca al “Mancini” di Fano è una di quelle partite che ha bisogno di tanta fantasia, mista a passione sfrenata, per caricarsi di entusiasmo. La vincente, infatti, non ha nessun diritto di disputare immediatamente la Lega Pro. Ma non conta, perché in certe situazioni, anche la possibilità diventa un diritto su cui poggiare le proprie speranze.

E così, dopo i lunghi chilometri affrontati con ogni mezzo, i primi pullman giungono allo stadio ‘Mancini’. Manca poco più di mezz’ora all’inizio della gara, ma i cori già si sollevano alti sulla città di Fano. Tra i grossi palazzoni che circondano l’impianto, si ascolta forte il dialetto campobassano.

I gradoni del settore ospiti si riempiono in pochi minuti. Le pezze immancabili degli Smoked Heads e del Nucleo Zasso, per questa volta, sono accompagnate anche da tanti altri striscioni, storici e nuovi, che riempiono di colore l’intero settore. Ci sono anche i compagni di mille battaglie, gli ‘Allenati Fasano’, che hanno voluto esserci in tutti modi, spendendo tutta la propria voce per incitare i colori della nostra città, in nome di un gemellaggio storico, che tutti a Campobasso sentono vicino.

I lupi vengono incitati già nel riscaldamento, ma è all’ingresso in campo che lo stadio diventa un palcoscenico di tutt’altra categoria. La Curva Nord regala uno spettacolo di altri tempi, con una coriandolata che coinvolge tutto il settore, torce e fumogeni che colorano di rossoblù il cielo fanese e tanti bandieroni, che sventolano in alto con tutta la propria fierezza.

La curva granata, anch’essa molto numerosa e bella da vedere, è coinvolta sotto un telo rappresentante lo stemma della città. Da entrambe le curve partono boati e battimani, che si impadroniscono della partita, nel frattempo cominciata, frenetica e senza esclusione di colpi, così come una finale deve essere.

In campo, la squadra di mister Favo sembra avere più tenacia, più gamba sugli avversari, ma nel momento migliore dei lupi, come spesso nel calcio accade, arriva la beffa.

Il gol granata fa esplodere il ‘Mancini’, ma non ammutolisce affatto i supporter rossoblù, che negli anni sono stati sempre abituati a recuperare, a soffrire, e a sostenere senza mollare mai. Continua incessante l’incitamento, come se nulla fosse successo e finalmente, poco dopo la delusione, arriva il momento di pareggiare i conti.

Un rimbalzo, una palla sporcata su un calcio di punizione e il pallone arriva, a pochi metri dalla porta, sui piedi di Ferrani, che gonfia la rete. Il boato, adesso, è tutto della “Nord”.

Il settore ospiti diventa una bolgia e possono così alzarsi, ancora più forti, i cori di incitamento. E’ vera battaglia sul campo, e quando si combatte è inevitabile mostrare il fianco, e così il lupo, forse anche con un po’ di inesperienza, si fa prendere dalla frenesia.

Un cross dalla destra, diventa una cornice perfetta per lo stacco di testa dell’attaccante fanese che,con un pallonetto, trascina, di nuovo, i marchigiani in vantaggio. Questa volta il colpo, anche sulla Nord, si avverte. Ci sono partite che sembrano destinate ad andare verso un’unica direzione, e questa, sul fischio finale del primo tempo, sembra essere proprio una di quelle.

Se nel primo tempo, sia in campo che sugli spalti, di dilettante si è visto ben poco, nel secondo, almeno sul campo, la serie D si è vista tutta. Giocatori granata, che si buttano a terra ogni 5 minuti, non fanno onore ad una partita giocata ad alti livelli fino a quel momento. Praticamente non si gioca mai, e i boati più forti della Nord sono il frutto di un gol annullato a Gabrielloni e di un rigore non dato, che a tutti è apparso evidente. Arriva il terzo gol del Fano, sull’unica ripartenza realizzata, e con esso la consapevolezza che la finale si tingerà di granata. La delusione pian piano si fa spazio sui volti di tutti. Il gol di Aquino arriva troppo tardi, il fischio finale sancisce una sconfitta antipatica, non figlia di una chiara differenza tecnica.

I giocatori rossoblù, che hanno onorato i colori fino alla fine, salutano la Nord a testa alta, mentre il coro “che importa se non arriva la promozione” viene cantato da tutti i presenti. I giocatori rientrano negli spogliatoi, sul loro viso tanta amarezza, i tifosi del lupo la vedono, la avvertono, ma non possono assecondarla. La squadra che è arrivata fin qui, meritava un risultato diverso, ma meritava anche più affetto, più calore dalla piazza, quando le vittorie arrivavano una dopo l’altra, in silenzo. E allora tutti si accorgono che è il momento di far rigirare quei ragazzi, di richiamarli un’altra volta, di invitarli alla rincorsa sotto il settore. I giocatori, quasi increduli, corrono di nuovo in campo, si prendono per mano e si abbandonano in corsa alla voce dei propri sostenitori in festa, come a dire, da parte dei presenti, ‘scusate il ritardo’.

È così che la piazza campobassana saluta la stagione, una di quelle che verrà ricordata immersa tra gioie e delusioni, tra avvelenate e abbracci, tra sogni e realtà. In una finale, dove si poteva vincere solo la possibilità, ci sarebbe, allora, da ricordare che in questa città, se possiamo sognare ancora, è grazie a chi riesce ad esultare anche dopo una sconfitta, a chi riesce a non mollare anche dopo un campionato perso, a chi è riuscito a sollevare dal fango dei fallimenti i nostri colori. Allora questa  possibilità di sognare ce la prendiamo tutta. La voglia di essere grandi, in fondo, non appartiene a nessuna categoria, ma alla gioia di guardarci intorno, immersi nei nostri colori e dire, in tutta Italia, ‘Noi siamo il Campobasso’.

Redazione

CBlive

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